Roberto Reggi: “Il potere è positivo se riesci ad esercitarlo bene”

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Roberto Reggi un anno fa diventava presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano:” La Fondazione ora ha cambiato pelle, da ente erogatore a agente di sviluppo”

Un anno in via Sant’Eufemia come presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Per Roberto Reggi da presidente il compleanno sarà il 1 giugno. Ma il 2022 sarà un anno significativo anche per le Fondazioni bancarie che hanno raggiunto il traguardo dei 30 anni. Una maturità che segna una svolta da quando nel 1992 le Casse di Risparmio hanno separato le attività di beneficenza da quelle finanziarie costituendo le Fondazioni.

Ora le Fondazioni hanno cambiato pelle – spiega Reggi. Lo hanno fatto anche sotto la spinta del presidente di Acri (Associazione delle Fondazioni delle Casse di Risparmio) Francesco Profumo, di recente riconfermato alla guida per un altro triennio.

Le Fondazioni stanno cambiando – rilancia Reggi – e da enti erogatori di risorse su progetti proposti dall’esterno promuoveranno iniziative proprie per orientare anche le scelte verso obiettivi strategici di lungo periodo. Un ruolo di maggior peso rispetto alle comunità di cui sono espressione e di cui amministrano il patrimonio. Le Fondazioni bancarie – sottolinea più volte il presidente nel corso dell’intervista che segue realizzata nella sede di via Sant’Eufemia nel bellissimo palazzo Rota Pisaroni – sono custodi del patrimonio dei territori di riferimento con la missione di mantenerlo e incrementarlo utilizzando i profitti a favore della comunità, questo non va mai dimenticato.

E a chi attacca, parlando di un ulteriore potere forte che abita il palazzo di via Sant’Eufemia, replica con decisione “se il potere riesci a esercitarlo bene puoi fare un sacco di bene. Mi dicono che sono diventato un potere forte. Ebbene, udite-udite, il potere è una cosa positiva se riesci a esercitarlo bene”. E un’ambizione sullo sfondo. “Diventare agente di sviluppo dei territori”.

Nei 30 anni trascorsi le performaces delle Fondazioni sono state a macchia di leopardo. “C’è chi questo patrimonio l’ha conservato e incrementato e chi invece se l’è sbriciolato. E’ successo anche qui negli anni scorsi. Però una parte consistente si è mantenuta”.

La Fondazione di Piacenza e Vigevano conta ora su un patrimonio di circa 380 milioni incrementato di oltre 5,1 milioni, come certificato nel bilancio 2021 approvato in aprile.

Quanto pesa a livello nazionale la Fondazione piacentina e vigevanese? “Siamo considerati medio-grandi. In rapporto alla dimensione della provincia – dice il presidente Reggi – abbiamo una Fondazione molto forte. Se dovessimo dare una valutazione del patrimonio in rapporto al numero di abitanti forse saremmo ai primi posti”.

E’ notizia recente che il presidente della Fondazione è stato nominato nel Consiglio nazionale di Acri e nel commentarla Reggi ha parlato di “Una buona opportunità per mettermi al servizio della progettualità che Acri realizza a supporto delle Fondazioni di tutto il Paese, e anche per esercitare il mio compito in modo ancora più incisivo, con riflessi positivi anche per le comunità di Piacenza e Vigevano”.

Diversi i temi toccati durante la conversazione.

Le preoccupazioni per l’economia di guerra che si sta vivendo e che probabilmente avrà ripercussioni anche sull’attività. Spazio però anche per la prospettiva. Da sviluppare, secondo le parole del presidente. Senza però perdere di vista lo spirito e la missione sussidiaria che spetta alla Fondazione. Sussidiarietà su cui Reggi innesta anche la ricerca di un confronto lungimirante in cui “si discuta insieme di una pianificazione di lungo periodo”. Rilanciando così l’idea di realizzare un nuovo Piano Strategico (ricordando Vision 2020 che fu avviato nel 2000) per compiere “un passo avanti – dice-  nella visione di città e della provincia da qui a 30 anni. E’ ambizione di ogni presidente di Fondazione”, garantisce. “Tutti ambiscono ad esercitare il loro ruolo in un contesto in cui siano presenti tutti soggetti pubblici… questo per evitare di sfogliare la margherita…” Che intende? “Per evitare che ognuno venga a chiedere qualcosa non inserito in un disegno. A noi presidenti piacciono i disegni strategici e ci piace guardare lontano per evitare di buttare via i soldi cosa che accade se il presente non produce futuro”.

Se sullo sfondo ci sono le tematiche più generali, al centro della sua esposizione restano i progetti che nel corso del mandato di 4 anni saranno il fulcro della programmazione. Da pochi giorni è stata licenziata la prima trance delle risorse a disposizione (94 interventi tra progetti della Fondazione e proposte arrivate dal territorio). Si tratta di una disponibilità di oltre 4 milioni, una seconda sarà predisposta a giugno e infine una terza a ottobre per un totale di oltre 6 milioni.

Alcune novità spiccano. Puntano a mettere a disposizione risorse cospicue su bandi specifici per realizzare progetti che possano avere un effetto duraturo. Dalla biblioteca innovativa, alla borsa di studio per la formazione all’educazione ai conflitti, fino al progetto musicale rivolto ai bambini che imparano a suonare in gruppo senza aver appreso prima come usare lo strumento puntando a replicare un modello che si è sviluppato, e con successo, alla scuola Caduti sul Lavoro di Piacenza.

Iniziamo dal tema “potere”. La Fondazione indicata tra i poteri forti di questa città, di cui rappresenta la cassaforte…lo è? e in che misura?

 “Del potere si dà sempre una connotazione negativa ma può essere molto positivo. I poteri forti in una comunità ci sono, è inevitabile. Io ho l’ambizione di esercitarlo positivamente e cerco di farlo per il meglio e certo in maniera disinteressata. Poi magari sbaglio, ma il potere che esercito è al meglio di cui sono capace con l’obiettivo di cercare di fare del bene e non del male. E poi, a proposito di potere, voglio sottolineare che in questo primo anno abbiamo lavorato moltissimo per la trasparenza dell’ente”.

Per esempio?

“Abbiamo proseguito il lavoro di chi ci ha preceduto con ulteriori passaggi. Tra questi il bilancio presentato pubblicamente. Anche su questi aspetti tecnici è necessaria la massima trasparenza, il bilancio deve essere spiegato per essere capito da tutti, anche da mia mamma. Lo devo raccontare in modo semplice per poter rispondere a qualsiasi domanda. C’è stato un periodo in cui le Fondazioni erano considerate il salotto buono in cui si prendevano le decisioni tra pochi a beneficio di pochi. Ora, per tutte le Fondazioni italiane, l’impegno è rendere trasparente e visibile quello che si fa. Abbiamo investito molto nella comunicazione e ci siamo dotati  di un ufficio di comunicazione che prima non c’era. Con questo si vuole far conoscere ai piacentini e ai vigevanesi le cose che facciamo. Solo in questo modo la Fondazione sarà sempre più sentita come parte della comunità.”

Quali riflessi positivi sui territori della Fondazione dalla sua nomina nell’Associazione nazionale delle Fondazioni bancarie?

“Dalle esperienze degli altri ho sempre da imparare. L’ho fatto anche quando ero vicepresidente di Anci nazionale. Dai miei colleghi sindaci ho appreso tantissimo e molte cose le ho portate anche qui. Ad Acri sarà la stessa cosa. Per esempio come Fondazione abbiamo il problema di misurare l’efficacia sociale, economica e del benessere sui cittadini prodotti dai progetti realizzati. Un percorso che non è ancora molto consolidato. Ogni progetto non va infatti soltanto verificato in termini economico-finanziario ma va considerato anche l’impatto che ha avuto. In Associazione si sta lavorando per individuare alcuni indicatori che possano valutare i progetti messi in campo.  E’ importante far parte di questo organismo e tra l’altro è la prima volta che succede per la nostra Fondazione”.

Quante sono le Fondazioni bancarie in Italia?

“Ce ne sono una novantina, in Emilia Romagna siamo 19 ma non tutte riescono a programmare interventi e donazioni. Alcune sono in grave sofferenza, infatti come Consulta regionale abbiamo un fondo che aiuta le Fondazioni rimaste a secco. Il fondo interviene su progetti particolari per sostenere iniziative locali”.

Che modello di Fondazione ha in testa Roberto Reggi? Quando si parla dell’argomento il pensiero presto corre alla Fondazione Cariplo presente e incisiva per lo sviluppo del territorio…

“La Cariplo è decisiva per forza. In Lombardia le Fondazioni sono due e la Cariplo naturalmente ha il ruolo di primo piano. Diciamo che è come se fosse una Regione parallela. Detiene un patrimonio enorme e quindi dove mette le mani riesce a incidere”.

Un parallelo impossibile dunque…

“Il nostro modello è più aderente e proporzionato alle due realtà locali di Piacenza e Vigevano. Il patrimonio per noi è la prima cosa di cui avere cura. Prima ancora di pensare all’erogazione la priorità è conservare e incrementare il patrimonio, cosa che siamo riusciti a fare lo scorso anno. E, con un bilancio molto positivo, abbiamo deciso un incremento del patrimonio destinando una quota a questa voce. Tuttavia già la conservazione del patromonio non è facile se poi si riesce anche a incrementarlo… è un gran risultato. Con  l’economia di guerra che stiamo vivendo sarà difficile farlo per il prossimo anno perché i nostri investimenti risentono del mercato azionario. Per reagire a questa situazione stiamo spostando molto sull’economia reale”.

Quindi sulle aziende? Su quali investimenti punterete?

“Noi naturalmente ci affidiamo a gestori internazionali che puntano molto sulle infrastrutture, sull’energetico e sull’ambiente. Naturalmente con due criteri di fondo: contenuti etici elevati e rischio molto basso. Un soggetto esterno tiene sotto controllo gli investimenti dal punto di vista tecnico per valutarne il livello di rischio. Comunque sia l’accordo sottoscritto con Acri non permette di andare oltre un certo limite di rischio  e quindi per noi certi investimenti sono inibiti. E’ chiaro che non possiamo fare trading… è quello che ha portato tante Fondazioni a esaurire il patrimonio”.

Facciamo un passo indietro al momento della sua elezione. Dibattito vivace, contrapposizioni. Tra le questioni il fatto che lei è un personaggio politico… come ha affrontato quella fase delicata, si aspettava tanta conflittualità?

“Tutte le elezioni sono state così. Se ripercorriamo le precedenti non sono mai state pacifiche.

La conflittualità nella fase preliminare l’avevo data per scontata. E’ quasi fisiologica nella modalità di relazione quando assumi un ruolo di responsabilità per forza ci sono conflittualità e poi il cambiamento passa sempre attraverso la conflittualità. Non ho esperienze personali di cambiamenti senza conflittualità. Comunque non nutro alcun risentimento, il risentimento fa male a chi ce l’ha!

Insomma fin dall’inizio sapevo che non sarebbe stata una passeggiata. E poi sulla questione di essere un politico – sollevata anche dall’ex presidente Guzzetti che è stato per anni senatore della Dc – mi ha colpito. Mi si permetta di sottolineare che chi ha fatto politica ha alle spalle l’esperienza di amministratore, ha le relazioni necessarie, l’esperienza di gestione del patrimonio pubblico. Insomma, provenire da un’esperienza politica credo abbia un sé una serie di vantaggi. Non mi sono scandalizzato delle reazioni che ci sono state, le avevo messe in conto. Sì, me le aspettavo… Almeno quasi tutte.

E non mi sono spaventato quando – a tutti i livelli – anche figure di grande autorevolezza facevano pressioni. Siamo andati avanti con la proposta. E alla fine abbiamo ottenuto l’unanimità. Non ci speravo, con il livello di conflitto che si era alzato così. Quindi il risultato è stato molto più positivo di quello atteso”.

Entriamo nei dettagli. Uno dei primi atti della vostra nomina è stato cambiare destinazione al Convento di Santa Chiara sullo Stradone Farnese. Quali sono state le ragioni?

“E’ conveniente per la comunità e risponde a due obiettivi cruciali: investire nei giovani e nello sviluppo universitario per questa città. Entrambe le cose si abbinavano alla realizzazione di uno studentato di qualità. Il segnale è venuto da sé. Era stato deciso di metterlo a reddito ma non potevamo perdere l’occasione e dovevamo decidere in brevissimo tempo. C’era l’offerta di un privato che acquistava i 3/4 dell’area ma quello che restava per la ristrutturazione non avrebbe portato a creare nulla di significativo. In questo modo invece… E’ chiaro però che ci siamo messi in un’impresa non banale. Soprattutto in questo momento di  economia di guerra, i prezzi sono schizzati alle stelle e i materiali non si trovano. Un altro elemento di inquietudine”.

Quando si concretizzerà il progetto?

“Stiamo lavorando insieme alla Cassa Depositi e Prestiti che partecipa con un finanziamento del 50%. Stiamo facendo il progetto esecutivo che  però, come si può immaginare,  ha subìto un fortissimo cambiamento. Lo stiamo rielaborando e quindi l’operazione è diventata anche più complessa di quanto fosse in origine. Non abbiamo sommato ritardi perché il 2022 era già dedicato alla definizione del progetto per poi far partire i lavori nel 2023. Il programma è rispettato però, ripeto, questi ultimi due mesi sono stati molto molto condizionanti sul piano dei costi”.

Intanto questa estate Santa Chiara ospiterà diversi eventi, perché questa iniziativa?

“Santa Chiara è un luogo simbolo per i 30 anni della Fondazione. E’ insieme il passato e il futuro della Fondazione. Ora stiamo facendo alcuni lavori  perché dopo il lungo periodo di abbandono è crollato un muro che dobbiamo mettere in sicurezza come ci ha imposto la Soprintendenza. Nello stesso tempo faremo lavori di consolidamento che serviranno per aprire lo spazio ai cittadini. Infatti ospiterà diversi eventi e saranno animati dai protagonisti (di musica, teatro ecc)  che in questi anni hanno lavorato con la Fondazione. Un reciproco riconoscimento per questi 30 anni passati insieme con la speranza che altri 30 e più possano arrivare”.

Ora i dettagli sui contributi. Al centro i bandi promossi autonomamente. Quale la direzione tracciata?

“Abbiamo messo a disposizione risorse e chi intende catturarle deve impegnarsi a farlo con precisi criteri di qualità. E’ il caso del sostegno ai Comuni per la progettazione per infrastrutture sociali per anziani e per l’infanzia legate ai fondi dal Pnrr. Li aiutiamo in questo percorso, a loro la scelta del progettista ma la condizione è una sola: progetti di qualità. Stesso principio anche per il progetto sulla musica e sulle biblioteche.”

In che cosa consistono?

Sono due progetti triennali, per un investimento complessivo di 420mila euro (Biblòh! e Dalla classe all’orchestra). Il primo nazionale il secondo locale. Per le biblioteche l’obiettivo è diventare la città che ha il maggior numero di biblioteche innovative rapportate al numero di abitanti in Italia. Chi è intenzionato a realizzare questo tipo di  biblioteche avrà i 210 mila euro, gli altri no. Il punto è questo: inutile presentare domande a vanvera perché non saranno finanziate. Il ragionamento vale anche per il progetto musicale che punta anche all’integrazione scolastica”.

Ce lo illustra?

“Si tratta di un progetto straordinario. Orchestre formate da bambini che non sanno suonare e che imparano suonando nel gruppo. Si è consolidato in questi anni e con risultati incredibili. Ho potuto constatare i traguardi di questa esperienza guidata dall’insegnante Simona Favari alla Caduti sul lavoro. Anche su questo progetto sono a disposizione 210mila euro per chi vuole replicare questo modello in provincia noi lo sponsorizziamo. Ma i bambini e il mondo dell’infanzia è un argomento molto presente. Ora stiamo pensando di dare una mano ai bambini ucraini con un bando a disposizione di chi vorrà proporre un progetto di prima alfabetizzazione per questo periodo estivo. A settembre quando andranno a scuola non rischieranno di entrare in classe senza capire nulla. E’ un primo passo per evitare emarginazioni”.

Si declina così il nuovo ruolo delle Fondazioni che si è sempre detto elargivano a pioggia i fondi?

“Si imputava alle Fondazioni di essere un po’ il bancomat delle amministrazioni e di tutta la comunità, senza un disegno strategico. Questi progetti nascevano e morivano in una stagione, quindi non riuscivano ad incidere sulla prospettiva di sviluppo di una comunità. Ma in realtà è un po’ ingeneroso dire così. Se guardiamo al passato per esempio l’hospice di Piacenza, progetto uscito come esigenza forte da parte del territorio nel corso del Piano strategico Vision 2020, se non ci fosse stata la Fondazione non sarebbe mai stato realizzato. Il Piano strategico era un modello giusto e credo sarebbe da riproporre. Soprattutto ora che stiamo attraversando la post pandemia un Piano strategico sarebbe utile a ricostruire anche la nostra visione sul futuro. Io l’ho proposto più volte e magari chissà se succederà….”

In cosa potrebbe essere utile un Piano strategico per Piacenza?

“Il PNRR non prevede la partecipazione delle Fondazioni bancarie. Noi ci siamo trovati uno spazio con questo bando per i Comuni, ma ho in mente tante cose belle da fare per i bambini, per la cultura, per gli anziani. Come Fondazione abbiamo una funzione sussidiaria è fondamentale sottolinearlo perché non ci sostituiamo a nessuno. Se chi ha il compito di farlo non promuove non possiamo essere noi a farlo. Noi possiamo integrare e cerchiamo però di esercitare questa sussidiarietà al massimo allargando i confini il più possibile. Come nel caso di XNL per citare un esempio. Non so se si organizzerà un Piano strategico oppure no. L’ho suggerito in più occasioni. Se mai prendesse avvio sarebbe molto più facile per noi dare un contributo”.

Perché crede sia necessario avviare un Piano strategico?

“Credo che questa città abbia bisogno di una pianificazione di lungo periodo a cui concorrano tutti. Va fatta insieme. Il PNRR  ha dato un po’ di ossigeno e ha obbligato a mettersi assieme per decidere i progetti per utilizzare le risorse, ma non si può considerare un Piano strategico. E’ un primo approccio. Quello a cui penso è  un passo in più: presuppone una visione della città e della provincia da qui a trenta anni. Uno sforzo di programmazione che non fai quando devi decidere solo come spendere i soldi che ti arrivano. Ecco perché ritengo sia fondamentale avere un Piano strategico che ci aiuti a orientare le risorse”.

In precedenza ha citato XNL il progetto di Bottega come esempio dell’attivismo della Fondazione. Una novità nel campo delle scelte culturali…

“Voglio subito dire che la politica culturale locale non la facciamo noi. Non è il nostro compito. Però noi possiamo dare un bel contributo e orientare verso alcune visioni e quindi il tema della Bottega XNL dove oltre a luogo di fruizione di cultura si fa anche formazione di base e professionale è un tema che abbiamo lanciato noi e che tra l’altro con un successo incredibile…”

A cosa si riferisce?

“Parlo della proposta teatrale. Dalla selezione dei professionisti per realizzare lo spettacolo che sarà prodotto qui e proposto in prima nazionale a Veleia sono arrivate 300 video di autocandidature. Quindi Marco Baliani (attore e regista teatrale che si occupa del segmento teatro per XNL) avrà il suo bell’impegno nel vedersi tutti i lavori che, mi ha riferito, sono tutti di grande qualità. Credo che con questa iniziativa abbiamo intercettato un’esigenza fortissima di professionisti in tutta Italia. Non ci si limita a proporre iniziative locali ma raccoglie un bisogno nazionale. E’ importante.”

Perché?

“Beh, l’apertura è fondamentale per crescere. Non a caso ci siamo affiancati, per il cinema a Marco Bellocchio che ha mantenuto un forte radicamento locale ma ha portato in tutto il mondo il suo sapere. Ecco questa sarebbe un po’ anche la nostra ambizione. Forte radicamento territoriale, grande attenzione a quello che succede qui, ma sempre con la visione internazionale. La nostra prospettiva è quella lì”.

In diverse occasioni e su vari argomenti ha rimarcato il tema giovanile sviluppato nell’ottica della formazione… quali sono le scelte in questa direzione?

“Naturalmente ci sono i sostegni alle scuole. Ma accanto a questo c’è anche la proposta rivolta ai ragazzi delle quarte superiori dei licei piacentini. Si tratta di una borsa di studio che permetterà di trascorrere la quarta dell’anno scolastico 2022-2023 alla scuola internazionale di Rondine (Città della pace) in provincia di Arezzo. Sarà un anno di studio regolare entrando però nel modello impostato sul percorso della risoluzione dei conflitti. Direi una tematica molto attuale perché rifiuta la guerra e il concetto di nemico. Si basa su esperienze di ragazzi che provengono da paesi in conflitto e che vivono a stretto contatto tra loro. Credo sia un momento di formazione che permetterà a chi otterrà la borsa di studio di portare a casa un’esperienza su cui realizzare un progetto anche da noi proprio con questa modalità”.

E dopo un anno un piccolo bilancio è già possibile?

“Prima di tutto devo dire che Consiglio generale e Cda sono una squadra di persone dai modi di essere e di fare che si completano. C’è un bel clima in cui ognuno mette del suo. E non è una cosa così scontata e automatica. Posso dire che è stato un anno vissuto intensamente. Dal punto di vista concreto per rendimenti e conservazione del patrimonio è stato molto positivo. Poi aver aumentato le erogazioni del 33% è certamente una bella soddisfazione. Le critiche non mancheranno ma arrivano anche tanti incoraggiamenti. E poi anche il riconoscimento da parte dell’Acri è stato importante. Credo che a livello nazionale si siano accorti che le cose stanno andando bene. Tutto però, voglio sottolinearlo, è frutto di un lavoro di gruppo e spero che si mantenga questo clima anche in una situazione difficile come quella che stiamo vivendo oggi. Dovremo difenderci dagli effetti di un’economia di guerra molto pericolosa per tutte le Fondazioni bancarie dove c’è un patrimonio ingente da difendere. Per il  resto che dire, siamo al 25% del progetto…”

Antonella Lenti

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