Rizzi: “Divisi si perde.
Ora città senza vision”

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Paolo Rizzi

Il professor Paolo Rizzi – candidato sindaco per il centrosinistra alle Comunali del 2017 – oggi siede a Palazzo Mercanti nei banchi dell’opposizione, fa il suo mestiere di professore universitario (è un economista, ricordiamolo) e risponde cortesemente alle nostre domande nell’ala nuova della Cattolica, vanto del polo universitario piacentino.
Prof. Rizzi, perché non è stato eletto?
“I motivi sono tanti e si sommano l’un l’altro. Il più corposo riguarda il vento di cambiamento che soffiava nell’estate 2017 e soffia ora nella primavera 2018 in Italia, vento che ha ridotto il centrosinistra ai minimi termini. Io sono stato assimilato comunque al passato, alla vecchia amministrazione che è stata giudicata in modo negativo anche al di là delle sue colpe.
Sono stato criticato perché andavo in giro con gli assessori uscenti: intanto non ho mai giudicato in modo così negativo la precedente amministrazione, che pure – lo riconosco – ha palesato non poche difficoltà. Ma adesso voglio vedere alla prova dei fatti chi la criticava così ferocemente: dopo un anno di governo, il nulla.
Ma soprattutto mi ha penalizzato la divisione della sinistra. Quando ho accettato – un po’ da incosciente (ma non potevo non accettare dopo vent’anni di formazione sociale in cui insegno, insegniamo che l’impegno civico è il primo dovere del cittadino) – ero sicuro, nella mia ingenuità, che il centrosinistra si presentasse unito. Cosa che si è rivelata impossibile. Anzi, sono stato criticato più da sinistra che da destra: ora, va bene il gioco della politica, ma mi sembra una cosa inconcepibile quando dall’altra parte sai chi c’è”.
Come si sta all’opposizione?
“Trovo ulteriori stimoli nello sforzo di non demotivare i giovani che mi hanno supportato e i civici che mi hanno sostenuto. Si è costituita anche l’associazione Piacenza Oltre: sono loro, i civici, che hanno voluto andare avanti e hanno chiesto – a me e a Roberto Colla – di esserci”.
E’ preoccupato per il welfare, teme la riduzione delle tutele nei confronti dei più deboli?
“E’ uno dei motivi per cui mi impegno all’opposizione. Il sistema del welfare piacentino non ha uguali nel mondo: è un mix virtuoso di volontariato, di servizio pubblico e privato. Siamo a livelli altissimi, che vanno assolutamente preservati. E poi c’è una Fondazione che ha un occhio di riguardo per questi aspetti. Lì sicuramente l’opposizione va fatta e posso dire che c’è un centrosinistra in consiglio comunale, da Rabuffi al Pd, di cui sono fiero, uno schieramento provvisto di una sensibilità che il centrodestra non possiede nemmeno nemmeno di striscio. Con la scusa di voler risparmiare il rischio che si tagli sul welfare c’è (per ora è solo un rischio). Abbiamo avuto dei segnali (i tagli a Spazio 4 e al Belville) che tuttavia sono brutti segnali, significa che non vengono considerati essenziali i servizi educativi e sociali di quel tipo di strutture”.
Ambiente, un tema come sempre urgente.
“Non posso dire che questa amministrazione faccia peggio di prima. L’ambiente purtroppo è il vero dramma piacentino. Siamo in grave difficoltà e non facciamo niente per invertire la tendenza. Trasporti, riscaldamento, mobilità: ci sono molti modi per cambiare registro, basterebbe copiare gli esempi virtuosi di altre realtà”.
Secondo alcune classifiche Piacenza risulta essere tra le città più tristi d’Italia. E’ così?
“Beh, questa sensazione culturale-antropologica ce l’abbiamo, e certamente anche la politica alimenta questo umore grigio: la critica totale, acritica, a tutto ciò che è stato fatto nel passato mina l’orgoglio cittadino, affievolisce la consapevolezza di essere una bella città dotata di una buona qualità della vita, come è nella realtà. Intanto, però, quello della tristezza è un dato che si basa su pochissimi indicatori, come i twitt attraverso cui l’Università Bicocca, tramite l’indice I Happy, analizza il tenore delle parole usate nei twitt medesimi. E noi, qui, ci piazziamo in fondo. L’altro indicatore deriva dall’indagine del Sole24Ore di qualche tempo fa sulla qualità della vita che per un paio d’anni ha usato il parametro sulla felicità e ci relegava nelle ultime posizioni. Si tratta quindi di rilevazioni discutibili, in un caso, o, nell’altro, non consolidate. Resta il fatto che oggi si inizia a misurare la felicità: esiste un rapporto mondiale sulla felicità che mette l’Italia al 48esimo posto nel mondo con una valutazione pari a 6 (da 1 a 10). I primi classificati sono i soliti paesi nordici. Tra i fattori che spiegano la sensazione di felicità ci sono il reddito, il Pil, il social support (supporto sociale: cioè “se hai bisogno di qualcosa hai qualcuno che ti aiuta?”), la generosità, la percezione di corruzione e la libertà nelle scelte: fattori sia oggettivi che soggettivi”.
Quindi Piacenza è triste o è solo percepita come triste?
“Il carattere dei piacentini è un po’ chiuso, rognoso, sempre un po’ critico. Aggiungiamoci, come dicevo, l’affossamento sistematico, perfino la denigrazione, di tutto ciò che è stato fatto negli anni scorsi ad opera dei ‘nuovi’ amministratori. Intendiamoci, è un atteggiamento comune un po’ a tutto il paese. Così Piacenza: quasi tutti gli amministratori, i funzionari, gli sportivi che arrivano qui dall’esterno, poi vi si fermano. Ci sarà un motivo. Dicono sia un’isola felice, anche per quanto riguarda la criminalità. Però poi la percezione nostra è negativa. La distonia che c’è tra realtà e percezione non è però un fenomeno solo piacentino o italiano. Si allaccia a tutto il tema delle fake news, delle bufale, ma è un tema complessivo e complesso”.
Qualcuno sostiene che Piacenza sia una città in declino
“Non sono d’accordo. Come molte realtà anche la nostra sta vivendo una fase di cospicue trasformazioni sociali. Noi siamo terzi come tasso di occupazione, la nostra posizione in fatto di qualità della vita è intorno al ventesimo posto in classifica, il che vuol dire essere al top in Europa. Siamo una città di provincia, geograficamente ai margini di una metropoli, però viviamo tutte le trasformazioni in atto nel modo occidentale: differenze sociali, terziarizzazione avanzata, industrializzazione che cambia faccia, con contrazione nel numero degli occupati e riduzione drastica della proprietà locale a favore della proprietà estera o forestiera; inoltre, precarizzazione del lavoro e polarizzazione sempre più marcata tra chi sta male e chi sta bene. Ma questo non significa crollo di Piacenza rispetto ad altre città italiane. Anzi, alcuni passaggi significativi degli ultimi vent’anni vanno riconosciuti: dal punto di vista culturale, per esempio, l’evento sul Guercino, mai visto prima; il piano strategico di Piacenza – che ha fatto registrare due edizioni – una cosa piccola e che tuttavia non ha riguardato tutte le città. Abbiamo fatto e vissuto esperienze positive e oggi dobbiamo ripartire dalle cose belle. Dai piani strategici sono scaturiti progetti sociali importanti (come l’hospice e il centro bambini e anziani, due gioielli) e, dal punto di vista economico, il progetto del polo logistico, con tutte le ombre che sappiamo ma anche con le sue luci. Ora abbiamo davanti il progetto di un nuovo scalo ferroviario, un progetto da 100 milioni di euro, è in quella direzione che bisogna spingere”.
Come valuta i primi dieci mesi dell’attuale amministrazione?
“Mi sembra che si limiti alla gestione dell’esistente, intervenendo su cose marginali. Ma una giunta non si può fermare al quotidiano, alle buche nelle strade, che oltretutto sono peggiorate: ma temo che al di là di questo non ci sia niente”.
La giunta Barbieri ha ereditato dai predecessori importanti progetti. Li condurrà in porto?
“L’attuale amministrazione ha recepito i progetti già in essere, prima criticandoli aspramente e poi assorbendoli come niente fosse: adesso il Carmine e piazza Cittadella, in futuro Consorzio Agrario e nuovo ospedale. Accumulando, però, ritardi inaccettabili. Ma soprattutto va detto che dietro a ciò che si sono trovati già confezionato, non c’è niente: niente vuol dire che gli investimenti previsti nel bilancio della nostra città ammontano a 30, 17, 5 milioni nei tre anni a venire. Investimenti a 5 milioni significa il nulla, vuole dire che dopo non c’è nessun progetto: dopo il Bando periferie, dopo il Consorzio Agrario, il vuoto. Questi altri progetti non ne hanno”.
Lei dà per scontato che i progetti ereditati da questa amministrazione siano buoni e condivisibili.
“Criticabili o meno quei progetti rappresentavano idee di trasformazione della città. Ora non ce ne sono più, forse perché non c’è nessuna idea della città che verrà. Se interrogati, gli attuali amministratori rispondono dicendo che devono pensare alle cose da fare ora, adesso. E invece non funziona così, quando devi pensare a un progetto europeo, devi prepararlo dieci anni prima. Se non inizi, tra dieci anni non ci sarà nessuna cosa da fare. La giunta Barbieri denuncia una mancanza di idee e di progettualità che davvero preoccupa, poiché consegna la città alla stagnazione. Ci vuole capacità di osare”.

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