Opinioni – Festa della Repubblica e bagarre da osteria
Nello sfacelo generale dobbiamo credere nella Costituzione

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di Bernardo Carli – Avrei voluto scrivere d’altro, del caldo incipiente, dell’estate che si avvicina con gli studenti che sciamano per le vie, della fioritura del gelsomino, delle feste campestri. Avrei voluto evitare la Festa della Repubblica, la Costituzione e il suffragio universale, non perché non siano importanti, ma da anni ne parlo ai miei studenti e il tricolore alla finestra di casa mi è diventato naturale come l’albero a Natale.
Mi sono convinto a tornare sull’argomento perché è di grande attualità. Sembra che il dettato costituzionale, esempio di chiarezza assoluta, sia diventato il rebus di incerti antichi oracoli. Non si tratta del pelo nell’uovo, giacché, come si diceva, la chiarezza è prerogativa della madre di tutte le leggi. Le interpretazioni derivano da letture affrettate, parafrasate, riassunti, schematizzazioni di un testo nel quale anche ogni virgola ha un senso, come nelle traduzioni delle versioni di latino. La confusione è generata da una improvvisazione che, se non fosse pericolosa, potrebbe suscitare la tenerezza verso il praticante bricoler. Essa provoca nei più un sentimento di incertezza, in altri una movimentazione giacobina che l’Italia non ha conosciuto nemmeno negli anni più bui, quelli di piombo, dell’eversione, delle stragi, dell’attacco della mafia ai giudici.
Spero di sbagliare, ma quello che sta accadendo inizia ad avere il cattivo odore di una sovversione con una aggravante: quella di abitare un territorio che va ben oltre i confini nazionali.
La ragione di tanta preoccupazione non sta tanto nel fallito tentativo di formare un governo, faccenda che riguarda gli attori in campo, gli accordi, i compromessi obbligatori, le difficoltà. Il grave è quello che sta accadendo adesso. Era scontato che un patto di governo tra due realtà così diverse sarebbe stato laborioso: nasceva già con una anomalia della quale non è ancora emersa tutta la contraddizione: la Lega che ha gestito il patto in prima persona, si era fatta forte di un voto che in buona parte apparteneva ad quella destra che si è sfilata dagli accordi, dichiarando che non avrebbe appoggiato il governo che ne sarebbe scaturito.
Checché se ne dica, il patto ha modificato i punti sui quali entrambi i soggetti avevano ottenuto il voto. Aggiungiamo la scarsa attendibilità delle consultazioni pubbliche sul documento di governo, svolte dai due. A nostro vedere il successo elettorale ha trovato linfa nuova in un elettorato protestatario scarsamente fidelizzato, che ha visto nelle promesse più “ardite” ciò che poteva soddisfare il bisogno di uscire dagli schemi correnti (la faccenda Europa fa parte di questo atteggiamento); esso tuttavia è potenzialmente fluttuante, la sua scelta non ha storia e dubito sia della preparazione ad accettare tanti compromessi, sia che la consultazione popolare abbia raggiunto questa fascia di elettori.. Fino a qui una storia che suscita solo preoccupazione, soprattutto in vista di una probabile elezione a breve con la medesima legge elettorale.
Ciò che invece travalica ogni limite di civiltà è la piazza (oggi quella virtuale), drogata da fake news, eccitata da improvvisati statisti, costituzionalisti, maitre à penser.
Non si tratta solo di volgarità, che qualificano chi la pratica, ma di un giudizio sommario dal quale nessuno è risparmiato.
Anche le affermazioni meno offensive, come quella che lo spread sia una mera invenzione, rinfocolano gli animi e non si arrendono nemmeno di fronte alla realtà dei mutui più onerosi, dei risparmi degradati, di una borsa che perde quota. Come se l’Italia non fosse debitrice di un enorme quantità di denaro per incapacità di ridurre la propria spesa pubblica. C’è anche qualcuno che pensa di chiedere che il debito contratto sia cancellato, come se fossimo un paese del terzo mondo. E’ duro ammetterlo: chi ha debiti contratti per aver vissuto al di sopra delle proprie possibilità, non può alzare la voce, ma solo praticare austerità e parsimonia e nel frattempo cercare di cambiare le regole di un’Europa dalla quale è impossibile uscire, pena il fallimento.
Nello sfacelo generale occorre che vi siano istituzioni nelle quali credere anche caricandole di retorica sacralità. La Costituzione Repubblicana può svolgere questo ruolo; quanto il suo dettato è strumento di tutela dei diritti, tanto più vale la pena rammentare il clima nel quale la stessa Costituzione fu scritta. Si dovrebbero leggere i verbali della Costituente per apprezzare la lealtà e il rigore con la quale uomini diversi per fede e natura si confrontarono per offrire quelle garanzie delle quali godiamo che ci hanno concesso settanta anni di pace e di sviluppo. La Costituzione ha nel Presidente della Repubblica il tutore più alto: può sbagliare, cosa alla quale nella fattispecie non crediamo, ma trascinarlo in una bagarre da osteria fa male a tutti.
La ribellione cieca in atto non è nemmeno rivoluzione, giacché queste si formano su basi ideologiche profonde (vedi quella Francese, quella Americana, quella di Ottobre).
Ed infine, la bieca movimentazione italiana di questi giorni, quella che straparla e offende sulla rete, trova entusiasti estimatori oltre i confini: sono quei leader che non rinnegano gli orrori dei regimi nazifascisti. Questi si stanno moltiplicando nell’intera Europa: facciamo in modo che il nostro paese non debba rivivere le pagine più oscure del passato secolo e affrontiamo il dialogo politico con sobrietà, ne avremo indubbi vantaggi, non ultima la dignità riconosciuta alle “persone per bene”.

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