Gianni D’Amo: “Stati Uniti d’Europa e del Mediterraneo sono questi i confini del nostro mondo”

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Gianni D’Amo

Se penso alle prossime elezioni europee mi viene da dire che vorrei parlare di “Stati uniti d’Europa e del Mediterraneo”. E’ quello il vero confine. Che lo vogliamo o no è su quella linea che si giocheranno i destini nei prossimi decenni. Il vero confine è il deserto, che separa i paesi mediterranei dall’Africa sub-sahariana”. Così Gianni D’Amo protagonista di un’intervista non canonica per il blog lenticontatto.blogspot.com nella rubrica Terzo Millennio – Sinistra&Sinistre. “Detto questo – prosegue – mi sembra però che il dibattito in corso sia lontano, lontanissimo: non esistono forze politiche europee che si pongono un orizzonte così. Voglio stupire: Mattei o Moro ragionavano così. Alle prossime elezioni vorrei votare una lista con un’idea di Europa. Invece… siamo di fronte a un crollo complessivo della sinistra riformista, Francia, Germania… un puzzle e nel caso italiano ci sono responsabilità politiche. Credo sia l’esito di una storia in cui la crisi non è stata accompagnata da una crescita culturale e anche in politica è il deserto. Dietro alle guide personali, anche in campo amministrativo, non si è formato un personale politico nuovo ma ha preso piede una cultura acritica che reagisce spesso con fastidio verso chi è portatore di posizioni diverse”…
Questa è la conclusione della chiacchierata con Gianni D’Amo a cui si è arrivati passando dalla scuola, dai giovani, dai social, dalla difficoltà ad avere rapporti diretti con gli altri, ai temi più pesanti come la rivoluzione che se non rinasce da se stessa cambia tutto per non cambiare nulla. Si parla dell’oggi attraverso ieri. Si parla di società focalizzando l’attenzione e l’obiettivo sulla scuola, nodo cruciale e palestra di futuri cittadini. D’Amo sviluppa un ragionamento circolare partendo dalla vita quotidiana e accendendo, passo passo, l’occhio di bue che illumina alcuni punti focali su un dibattito politico crudemente reale.

Tra una chiacchiera e l’altra

E’ questo il secondo appuntamento di riflessioni, pensieri, valutazioni e anche provocazioni sulla sinistra che ha perduto riferimenti, bussola e contenuti. L’incontro con D’Amo si svolge a casa di amici durante una cena in cui parlare di politica e soprattutto di una politica in brandelli e frantumi può anche risultare indigesto. Non mi è sembrato però che la circostanza abbia prodotto sfinimenti o diserzioni prima del dolce. Tra una battuta, una risata, un’allusione e tanti assolo di Gianni, la serata è risultata piacevole, istruttiva e con tanto materiale da mettere in ordine. Non risulterà quindi una intervista secondo forme codificate nei manuali. Anzi per essere fedele all’atmosfera del momento sarebbe stato interessante allegare allo scritto anche una registrazione con il sonoro della serata: dialoghi, battute, risate, tintinnio di posate compreso. Un vago ricordo di Atom Hearth Mother dei Pink Floyd in cui si avvertono spezzoni di dialoghi e vari effetti sonori… Ecco sarebbe la colonna sonora perfetta. Inoltre sarebbe perfettamente in tema perché la prima affermazione che Gianni D’Amo lancia è il riferimento ai sensi, al sentire, al provare relazione con le persone e tra le persone. La domanda di partenza era di quelle classiche introduttive e tristemente generiche.

A scuola per imparare ad essere cittadini

Gianni, da che parte cominceresti per parlare di una sinistra del domani tenuto conto della trasformazione sociale e antropologica in atto?
Ascolta, mi scruta – eravamo su lati opposti del tavolo – mentre le altre persone erano ancora intente agli iniziali convenevoli, e poi dice: “Vorrei cominciare parlandoti dei 5 sensi”.
Alla sua affermazione gli altri commensali si sono fatti più attenti, curiosi di comprendere quel ragionamento che si stava componendo.
“Vorrei partire dai 5 sensi – riprende D’Amo – per parlare dei mutamenti avvenuti intorno a noi in questi anni. A scuola dove insegno mi colpisce sempre l’assenza totale dell’uso dei sensi: la vista calamitata da smartphone domina. Manualità, odori e gusto aboliti. Niente contatti fisici che si traduce in nessun contatto umano. E’ un punto di partenza per capire molto delle persone. Per capire quello che siamo diventati e di come affrontiamo il mondo e dunque anche la politica. Mi sconforta un po’ il fatto che vi sia una totale perdita di contatto tra le persone. I rapporti sono solo apparenza e faccio presto a pensare che siamo isole e che quel comportamento sia caratterizzato da anaffettività di base. La prima cosa che mi colpisce è questa e sarà perché al contrario appartengo a una generazione, a una cultura, che non si è astenuta dal toccare, dal sentire, dal vedere al di là degli schermi”.
Richiama Simone Weil per spiegare meglio quanto questa estraniazione nei confronti della persona sia paradossale.
“Se sei in un deserto non è la stessa cosa incontrare un cactus o una persona? O no?”.

Uno spaccato di società. Quanto la sinistra in questi anni si è accorta della vita reale, non è un po’avulsa?
“Avulsa? Mah, anche per la scuola, per stare a un mondo che conosco da vicino, credo che vi sia stata e vi sia un’idea sbagliata che gira e si è radicata profondamente in questi anni. Quale? Un’idea secondo cui per tutto esiste e si deve trovare una soluzione tecnica. Non c’è tecnica, che tenga, il sapere è eros (cito Platone), la sapienza è erotica ed è necessario porsi il problema. Ma non lo si fa”.
Parlando di scuola di quella sua importante parte di vita vissuta quotidianamente tra tante fatiche, il desiderio di essere davvero maestro per i suoi alunni, D’Amo tratteggia anche il pensiero politico. Del resto tutto è politico. Racconta di quando, giovane laureato, scelse di diventare insegnante all’Itis di Lodi. Era la palestra giusta per me – dice – tra ragazzi di estrazione operaia dove poter portare quel concetto di eros-sapienza-bellezza motore di cambiamento per una società. “Mi piaceva – dice – fare il professore in quella scuola. Si toccava con mano una realtà che forse a sinistra non si conosceva da vicino. Erano i secondi anni Ottanta e ho imparato molto di quello che la nostra società stava diventando”.

Qual è stato l’insegnamento più importante?
“Quei ragazzi in gran parte erano portatori di valutazioni estreme, pronti ad attaccare la persona di colore se era brutta, sporca e cattiva ma a esaltarla se invece si trattava di top model o beniamini sportivi… In quel periodo ho imparato quanto fosse negativo parlare di politicamente corretto e di pacifismo (come pure facevo). Ecco di fronte a una realtà così è necessario trovare un modo per rapportarsi che non siano quei cliché (del politicamente corretto in particolare) altrimenti li perdi. Per sempre”.
Racconta di un episodio accaduto con un ragazzo. “Dopo mesi di scontri e di atteggiamenti duri mi ha preso un giorno e mi ha detto adesso basta prof, mi sono rotto di scontrarmi con lei però provi lei ad essere della curva dell’Inter e non parlare male degli ebrei. Ecco cosa mi disse. Capisci? La cifra dominante che forma il sentire è il tifo. Esperienza sociale fondamentale sono il calcio e il tifo. Del resto che cosa osserviamo oggi?”.

Ciao ciao rivoluzione se non cambia pelle

Le esperienze politiche a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. In quel periodo si era spezzato il Pci era nata Rifondazione. Perché non con Rifondazione?
“Non ho aderito a Rifondazione – spiega D’Amo – ho sperato in tutta sincerità che Gorbacev potesse “metterci una pezza”, ma non è stato così”. D’Amo fa riferimento al suo dissenso profondo che si è manifestato quando, dopo i fatti di Tien An Men, vi fu un viaggio in Cina da parte dei dirigenti di Rifondazione. “Ricordo che ero a Milano e scrissi in quel momento la lettera di dimissioni dal comunismo. La sinistra non può fare queste cose. Non ci sto. Non esiste”.
Da quei ricordi si torna ancora a scuola. Il momento di cui parla era quello dello scoppio della prima guerra del Golfo (Bush padre presidente degli Usa). Come trattare questo tema? Attraverso gli autori. “Su quella vicenda alla mia quinta feci una lezione in cui parlai del Manzoni e dell’”Adelchi” in cui diceva “Nel mondo agisce una forza che ama nominarsi diritto”, questo lo diceva Manzoni. Ci rendiamo conto era quello che stava accadendo in quel momento e che poi è accaduto e accade ancora. Questo l’eros del sapere di cui parlavo prima: crea le basi, fornisce gli attrezzi per capire”.

Sinistra. Che dire una sommatoria di divisioni di spezzettamenti di sinonimi e contrari. Non c’è storia per la sinistra?
“C’è storia per una sinistra che voglia fare la fatica di costruire le cose tutti i giorni e intendo anche la costruzione di una classe dirigente”.

Manca una pars construens nella sinistra? Spiegati meglio
“A questo punto bisogna soffermarsi sul concetto di rivoluzione. La rivoluzione è un bel problema, è andata così ma non credo che avrebbe dovuto andare così. La rivoluzione la fai perché vuoi prendere il potere che nessuno ti concede, ma una volta preso il potere il modo in cui l’hai fatto fa scomparire il fine: restano l’elettrificazione e le forse armate, scompaiono i soviet e la libertà. Il potere ti conquista e può diventare un overdose e quindi da quello ti devi disintossicare altrimenti… Altrimenti finisci come in Nicaragua dove c’è Ortega da quarant’anni. In sostanza il fallimento della rivoluzione è quando i mezzi fanno scomparire i fini e si perpetuano legge del mantenimento del potere. La rivoluzione se è tale non uccide, non si trasforma nel terrore. Però storicamente è sempre accaduto così e quindi c’è qualcosa di distorto. Dalla rivoluzione non sono nate nuove classi dirigenti, ma il perpetuarsi del potere fine a se stesso”.

“Nuovo internazionalismo: per capire la povertà non ci si deve più vergognare di essere stati poveri”

Quali elementi sono recuperabili da quel passato di aspirante comunista che sei stato alla luce di un oggi tanto cambiato. E’ sempre questo il punto sostanziale. Analizzare, capire, buttare e tenere. Che cosa c’è da tenere?
Su questo tema, attraverso un tuffo nella realtà dell’oggi D’Amo mette sul tavolo il tema della povertà e degli emarginati, dei migranti, argomento che infiamma il dibattito e che ha castigato pesantemente la sinistra in questi ultimi anni e ne parla lanciando il tema dell’internazionalismo. Uno dei punti chiave del domani.

“Che cosa recuperare, che cosa tenere… Certo si deve recuperare quello che è buono dell’esperienza passata. Fondamentale per me il recupero della dimensione internazionale, il rapporto tra Nord e Sud del mondo. Noi, il Nord, siamo partiti in vantaggio rispetto al Sud del mondo. Se acquisisci questa cosa capisci, comprendi che cosa significa la povertà. Capisci anche cosa significa la povertà oggi nelle nostre città nel nostro modo di vivere. Mi piace ragionare facendo esempi. Esempi tratti da riflessioni su storie vere, storie di persone che hanno incarnato quel significato di povertà che per noi tante volte è astratto e quella tensione verso un miglioramento della propria vita di dare un orizzonte migliore ai propri giorni a quelli dei propri figli e della propria famiglia. Prendiamo uno straniero che ha vissuto a Torrione Fodesta, costretto a dormire a terra. Dopo tutto il percorso ottiene la cittadinanza e a un certo punto riesce ad avere una casa, è ancora povero ma la sua condizione di povero cambia notevolmente tra la prima condizione e la seconda. E mi chiedo, tornando ai ragazzi, ai giovani qualcuno ha spiegato loro che siamo stati poveri? I loro nonni i loro genitori raccontano loro la nostra storia fatta di povertà e anche di emigrazione? La mia impressione è che ci vergogniamo di ciò che siamo stati e poveri lo siamo stati, eccome. Evidentemente in una società come questa c’è qualcosa di cui vergognarsi nell’essere stati poveri. Credo che il rincorrere la modernità senza soffermarsi a riflettere sul contesto storico non ci faccia capire a fondo la nostra storia passata e presente”.

A proposito di modernità, se ne è cominciato a parlare già negli anni Ottanta quando il Pci, per competere con il Psi di Craxi, strizzava l’occhiolino ai quadri cercava di uscire dal guscio della classe operaia. Era il periodo della borghesizzazione della classe operaia (la borsa come terreno di investimento), la nascita dei padroncini… quindi la modernità è stata un approdo per la sinistra di quegli anni.
“Credo che uno dei disastri di questo paese sia stato il fattore K, che ha tenuto fuori per decenni dall’area di governo un Pci col 30% dell’elettorato, e anche di non aver avuto un Partito socialista al 20%… in quel caso le cose forse sarebbero andate diversamente”.

Torniamo a oggi, quello che era il partito di riferimento della sinistra, il Pd ha perduto dei pezzi con LeU e così l’arcipelago si moltiplica…
“Lo dico senza alcuna acrimonia, se tu intendi presentarti come alternativa è chiaro che devi mettere in campo persone alternative, altrimenti non sei credibile”.

Cittàcomune esperienza culturale e politica

Dall’area della sinistra movimentista e oppositrice al passaggio all’istituzione attraverso il gruppo Cittàcomune poi diventato un centro culturale (con 170 soci) che promuove iniziative importanti e partecipate basti ricordare i pienoni raccolti alle serate su Marx che hanno meritato un plauso per i relatori ma anche per la coraggiosa onestà intellettuale sulla scelta dell’argomento, parlare di Marx. Un Marx che non è stato tirato per la giacchetta per dimostrare una tesi o il suo opposto.

Un nuovo ambito politico non nei partiti ma accanto ai partiti?
“Per 40 anni ho fatto politica in un contesto extraistituzionale poi nel 2002 ho fatto il consigliere eletto come indipendente nei Ds e alla fine del 2006 è nata, insieme alla lista per le Comunali, l’associazione Cittàcomune. In quel periodo c’era chi spettegolava e interpretava questa iniziativa come un tentativo di fregare Reggi (Roberto Reggi era il candidato del centrosinistra). Niente da stupirsi se si è di Piacenza. Quell’esperienza mi ha insegnato moltissimo, ho fatto il consigliere comunale spinto da questo desiderio, imparare, capire per decidere. Tra l’altro mi sono occupato di temi di cui ero a digiuno. Completamente. Chi aveva mai sentito parlare di Prg, di Psc di Ptcp? Per me sono state una scoperta come è stata un’emozione vedere persone che si adoperavano per lavorare con me e gratuitamente. Da quell’osservatorio – aggiunge D’Amo – ho capito molto anche dei cittadini. Tante volte ti chiedono di occuparti del cortile, delle problematiche minori e mi sono fatto la convinzione di un senso civico piuttosto basso, molto legato ai particolarismi”.

Ambiente e welfare le sfide

Veniamo all’ambiente, un tema cogente che investe anche la salute. Ma ancora relegato in uno spazio residuale. Per un Marx del Terzo Millennio non credi che potrebbe essere un terreno su cui cimentarsi e lavorare anche per cambiare l’economia?
“S’innesca su questo anche una politica dei costi immediati, nel senso che tutti devono fare la loro parte e sacrificare qualcosa. In campo c’è il rispetto del territorio con la riduzione del consumo di suolo…

Tema sviluppo e quindi lavoro… che dire?
“Ambiente può essere anche lavoro. Eccome. Di recente sono stato a Lussemburgo per una serie di conferenze su Marx ebbene nel centro della città ho visto un parco di archeologia industriale e sotto le ciminiere, caffè, trattorie, un’area grande quanto almeno 5-6 volte il macello di Piacenza con tanti occupati. Tanti. Ma attenzione queste cose si legano a quelle che abbiamo detto prima. L’attenzione all’ambiente deve essere un valore per tutti non solo per il Nord del mondo altrimenti il gas di scarico e il carbone se lo prendono gli altri, quelli del Sud del mondo. E questo non va bene. Voglio dire inoltre che nei dibattiti che si susseguono c’è un grande assente ed è il tema della demografia di cui non si parla mai. E intanto cresce un modello di città che sta diventando un enorme ospizio o un enorme ospedale. Decisamente un modello di città che non ha senso senza nuove generazioni, senza bambini, senza futuro. A ciò si collega l’interrogativo sul welfare da riconsiderare alla luce della famiglia allargata. Se il lavoro di cura prima lo si trovava in casa oggi è sempre più delocalizzato e quindi tutto diventa molto più critico e i rapporti si fanno tesi. Di fronte a questa situazione non si può pensare che sia solo il pubblico a farsi carico di tutto. Si deve riconsiderare il welfare alla luce di questa nuova situazione. Non è facile. Quel tema del sacrificio – dell’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno – di cui si è parlato prima si collega perfettamente a questi interrogativi”.

 

IL BLOG LENTI A CONTATTO

L’AUTRICE

Antonella Lenti, giornalista professionista, è stata corrispondente de “l’Unità” negli anni Ottanta, ha diretto il settimanale “Corriere Padano” e il mensile “Piacentini” fino al marzo del 2001 e quindi è stata vice-caposervizio del quotidiano “Libertà” di cui ora è collaborarice. Nel 2017 ha pubblicato un reportage di testimonianza per raccontare l’esperienza di volontaria nelle zone terremotate delle Marche, “… Ma ci resta il cielo”, edito da Pontegobbo. Ora sta “studiando” da blogger: lenticontatto.blogspot.it; colsenodipoi.blogspot.it; vitainunlook.blogspot.it, sono i blog attivi.

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