Esercizi di memoria: da viaggiatore
nel quartiere delle contraddizioni

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di Bernardo Carli – Certamente uno dei libri più gradevoli che siano stati scritti è “le città invisibili” di Italo Calvino. Nel clima torpido degli incontri tra un giovane Marco Polo e il Kan del Kublai signore di uno sterminato regno, nasce la classificazione di città fantastiche organizzate in un elenco che si ripete nei diversi capitoli: le città e i segni, la città e i morti, le città sottili e, ancor più frequenti, le città e la memoria.
Sì, perché ogni città, anche la più moderna, vive un rapporto stretto con propria storia, sia antica che recente. Lo sapevano bene i fondatori di Roma che, pur di affondarne le radici nell’antichità, inventarono di sana pianta una mitologia attingendo a piene mani alla tradizione greca e al suo cantore più illustre, Omero. I romani fecero le cose in grande fregiandosi di un blasone di indiscusso valore che dava un seguito alla storia della caduta di Troia.
Gli storici dell’architettura, partendo da un punto di vista diverso da quello di Calvino, affidano alle città il ruolo di contenitori delle tracce lasciate dalla storia, orme visibili o sottintese per una ricerca pressoché infinita.
Il veneziano Polo, solo nominalmente ambasciatore, è viaggiatore, osservatore comandato dal sovrano a raccontare ciò che rende ogni città diversa dall’altra. Il viaggiatore osserva con stupore, pur consapevole dalla propria natura di mercante veneziano. Nella penombra del palazzo, il sovrano è partecipe attento di una narrazione vivace e simbolica che poiché questa stessa definisce la vastità della sua grandezza.
C’è uno stretto rapporto tra il viaggio e la memoria: ma se il l’essenza del primo è relativamente semplice (visitare in luoghi mai vissuti, percepire, annotare e farne sintesi, magari raccogliendo qualche foto o souvenir, che poi vuol dire appunto oggetto che suscita il sovvenire), la memoria è esercizio intimo e complesso da “agire” con costanza; essa richiede allenamento e rigore, al pari di una ginnastica.
Nelle notti insonni che regala la terza età (chi scrive le conosce bene), non vale la pena ricorrere a pozioni soporifere: la veglia è un dono, e come tale si deve godere come il giocattolo trovato sotto l’albero. Gli “esercizi di memoria” sono il migliore passatempo per chi non ha sonno.
Di notte mi racconto di questa città che quotidianamente visito. Ad essa arrivai come un viaggiatore, oberato della fatica di un lungo e accidentato itinerario. Dopo aver calpestato tante strade, sono giunto nel quartiere del degrado e della redenzione, del disordine e della bellezza: esso è l’unico che palpita di contraddizioni e di vita, di storia e di modernità. Da viaggiatore, ho capito che questi muri e questi volti mi erano indispensabili, ma che l’amore nascente avrebbe trovato nutrimento solo se fossi stato in grado di appropriarmi di una storia che non avevo vissuto: l’ho cercata nei segni, e nelle testimonianze di chi c’era prima. Non di fantasmi si anima la notte, ma di bambini in strada, di panni stesi alle finestre, degli odori di botteghe che non ci sono più, di artigiani e carretti, di voci e del canto di donne che scende dalle finestre aperte mentre accudiscono alle faccende della casa.
L’immagine è un vecchio film: non corrisponde più ad un oggi che, solo per chi vuole onorare la vita, non si può dire né migliore né peggiore. Se, come titola con malevolenza un giornale: “il quartiere perde i pezzi”, è necessario ricucire lo strappo tra le cartoline e questo presente. Vale la pena tentare oggi un nuovo scatto fotografico, purché l’obbiettivo sia ben pulito dalla polvere della nostalgia. Le città mutano e il saldo tra negozi chiusi e aperti non prelude alla desertificazione. La regola vale per l’intera città, vale per tutte le città: chiudono le botteghe dei vecchi cibi e quelle degli artigiani, ma ne aprono altre con bottegai e artefici di altre vecchie e nuove merci che hanno il volto di un altro colore. Tutto cambia, ma nei giorni di primavera, dalle finestre aperte della scuola, giunge ancora il canto dei bambini accompagnato dallo stridore delle rondini: altre rondini, altri bambini.

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