Bullismo, il rispetto delle regole
si impara a scuola e in famiglia

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di Bernardo Carli – Di quello che accade nelle aule scolastiche se ne parla molto e, come di consueto, tutti credono di esserne esperti. Per molti, la nostalgia per “il buon tempo che fu”, fa rimpiangere professori inflessibili e addirittura punizioni corporali.
Mi si conceda un po’ di autobiografia: non sono nato con la vocazione del Preside (oggi purtroppo si chiamano dirigenti scolastici). Uscito dalle scuole pubbliche in quel ‘68 del quale ricorre l’anniversario, avevo deciso che mai sarei tornato a varcare il portone di una scuola da insegnante.
L’ho fatto soltanto quando ho avuto la certezza di aver imparato nel mondo delle professioni qualcosa che non fosse soltanto quello che mi avevano insegnato. In seguito, dopo il licenziamento di un mio preside, mi sono trovato promosso sul campo e ho capito che il mestiere di educatore non si impara solo con gli indispensabili studi, ma esercitandolo.
E arrivo al punto: se la pedagogia ha i propri fondamenti in quella fucina di civiltà che fu l’Antica Grecia e in quello che venne dopo, il costante rapporto che questa ha avuto con la storia, fa sì che il nesso con la cultura ne abbia modificato termini e modi. I comportamenti devianti, irrispettosi e talvolta violenti degli alunni non possono essere letti se non all’interno del contesto culturale; il principio vale per la scuola, ma anche per la famiglia.
Premettiamo che i giovani sono alla ricerca di identità, indispensabile per la propria inclusione sociale.
La ricerca prevede che i giovani esplorino il mondo per scegliere i propri modelli di riferimento. La sgangherata scuola italiana, pur facendo le debite eccezioni, ha una tradizione di pluralismo di idee che non ha confronti; questo le conferisce il pregio d’essere un buon contenitore di modelli, ma talvolta non è in grado di competere con quello che sta fuori dal proprio ambito.
La famiglia spesso concorre alla scelta dei modelli proponendo i più “facili” o si rivela distratta di fronte alle scelte dei figli.
I genitori desiderano che il processo educativo avvenga in tempi rapidi, con il minimo dell’impegno ed il massimo del risultato, che poi si concretizza spesso nel raggiungimento di beni materiali. Ai ragazzi, fin da piccoli vengono fornite risposte per domande che non sono state ancora formulate. In seguito, con il sopravvenire dell’adolescenza, al “dialogo educativo” viene a mancare da parte dei genitori quella pazienza e quell’ascolto indispensabili a generare la consapevolezza che prelude la maturità.
Molti genitori agiscono troppo, intervengono, danno soluzioni disattendendo il principio di una “lentezza” utile alla crescita mentale e “spirituale”. Gli stessi genitori devono trovare uno spazio per promuovere il dialogo e dare l’esempio. Questo non esclude la severità nel rispetto delle regole.
Nella mia personale esperienza non ho mai conosciuto adulti che non avessero maturato amore per i genitori solo perché severi. Al contrario alcuni serbano scarsa riconoscenza nei confronti di genitori distratti o immaturi, permissivi e incoerenti che non hanno voluto assumersi il proprio ruolo preferendo quello innaturale di amici.
Ma, tornando alla scuola, vi è una domanda che emerge nella stampa e nei media: la disciplina può prevenire episodi di bullismo o mancanza di rispetto nei confronti dei professori e dell’istituzione?
E’ giusto che l’infrazione delle regole comporti sanzioni, la scuola tuttavia non è un tribunale, ma il luogo di educazione alle stesse regole, dove se ne esplora il motivo e se ne scopre la necessità.
Il mancato rispetto per le persone e anche per le cose, quello che provoca il triste fenomeno del bullismo e quanto avviene nelle aule nei confronti dei professori, ci dice che è indispensabile che la scuola venga riconosciuta come luogo di promozione delle persone in ambito sociale. Invocare le sole punizioni significa non aver compreso la complessità del problema .

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