TERRITORIA, tra archeologia e arte
a Piacenza in vicolo del Guazzo

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di Gughi Vegezzi – Con un amico giornalista, mi affaccio in uno spicchio di Piacenza sconosciuto: alti palazzoni anonimi moderni, vicolo del Guazzo, nome premediovale. dialettale, forse preistorico… Un cancello aperto e l’insegna Territoria ci accolgono, nonché una scultura affascinante ed emblematica: un angelo strapazzato con le ali spennacchiate e privo di testa, un Angelus scaduto, chiara metafora di un mondo che è morto. Mi sorride l’idea che sia ispirato dal celebre Angelus novus di Paul Klee, che volava verso il futuro, guardando il passato. Costeggiamo un capannone piano a terra, fatiscente ma solido e vi entriamo: un unico spazio parallelepipedo con ampi finestroni, vuoto e “vissuto”, carico di tracce umane, di “vitta”, lemma dialettale icastico che significa lavoro, fatica, rassegnazione, freddo o caldo, e vestigia industriali.
Lungo la parete senza finestre vediamo una serie di grandi pannelli appesi a una leggerissima “installazione” area in tondino argenteo, costruito da Marco Vegezzi con la consulenza di Daniele Sprega, un capolavoro emblematico di almeno due decine di metri, ispirato da ésprit de geometrie, nella tradizione di Pitagora e Archimede.
Guidati dalla gentile gallerista Sandra Bozzarelli, indaghiamo i pannelli appesi all’installazione,camminando su una corsia insolita, quasi un fiume realizzato con pannelli riciclati di vetro in frantumi, alla quale fa pandant sotto le finestre a terra la scia di neon d’annata pure riciclati.
Boiardi ci presenta le periferie urbane come sismogramma di una campagna devastata da alveari geometrali inquietanti. Rigamonti è affascinato dal mare ripreso con scatti di polaroid che sembrano sogni. Lucchesi scava la propria interiorità affacciantesi timida al mondo. Buttarelli conduce esplorazioni, assemblando metalli diversi in panelli evocativi del mondo industriale e offrendoci una grande installazione di innumeri caselle uniformi, riempite da decine di cartoni stratificati e variopinti, una sorta di archivio policromatico delle stratificazioni geologiche e delle diacronie della storia e della vita.
Uscendo salutiamo l’Angelo acefalo del passato, grati che sia in obsolescenza e passato, confermati a vivere in arduo equilibrio tra il vecchio mondo malinconico e grondante lacrime e sangue, e il nuovo tenebroso e angoscioso, che promette il paradiso coinvolgendoci in galoppanti alienazioni, frustrazioni e distruzioni della natura, della civiltà e finalmente dell’umanità, senza catarsi, se non ci svegliamo, ci autosolleviamo, e ci liberiamo. Se non ora, quando?

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