Per recuperare il Quartiere Roma
bisogna affrontare i problemi senza pregiudizi

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di Bernardo Carli – In attesa che la situazione politica successiva alle elezioni si chiarisca, proponiamo questa volta una riflessione su un problema che ci sta particolarmente a cuore, premettendo che questo solo in apparenza ha rilevanza locale, giacché gli eventi cittadini rappresentano spesso situazioni che vanno ben oltre i confini di una via o di un quartiere, riflettendo i fenomeni presenti in un ambito assai più vasto.
Mi riferisco al quartiere più “chiacchierato” di Piacenza, tra la stazione, i giardini e la famigerata Via Roma. Chi scrive conosce il quartiere dove ha scelto di prendere “casa e bottega” da oltre 27 anni, prima solo per lavoro ed infine come residente, operatore culturale per l’inclusione sociale. Si tratta di un quartiere popolare della città, distinto per vitalità fino agli anni ottanta. Successivamente, con la nascita di nuove zone residenziali, la popolazione è diminuita e invecchiata. L’aspetto che balza agli occhi è quello dell’ impoverimento del tessuto commerciale provocato in buona parte dall’avvento della grande distribuzione, che ha messo alle corde il commercio di vicinato diffuso. Ma se questo è l’aspetto più evidente, l’assenza di salvaguardia del “costruito storico” a favore delle nuove edificazioni, ha impoverito il tessuto residenziale fino ad un degrado che solo in questi ultimi anni si sta arrestando. Egualmente soltanto adesso la presenza di un’Università in crescita, che porta a Piacenza studenti non soltanto italiani, inizia a incidere sulle sorti di questa parte di territorio. Caratterizza il comparto urbano in questione la presenza della stazione ferroviaria, che, come in tutte le città si definisce come “non luogo”, non ospitando una compagine sociale stabile. Anche se nel nostro caso si può dire che la Stazione solo in parte interferisce con la vita del quartiere, l’elemento di maggiore rilievo è la decadenza del patrimonio residenziale, in mano a proprietari storici poco interessati al mantenimento delle proprietà, vuoi per indisponibilità economica, vuoi per scarsa intraprendenza. Chi amministrava avrebbe dovuto predisporre piani di recupero favorendo in qualche modo il recupero del costruito, ma questa politica sarebbe entrata in conflitto con il disdegno di nuova residenzialità decentrata. Anche questa è storia vista, come lo è il fatto che la progressiva inadeguatezza delle abitazioni agli standard moderni, ha finito con attrarre soltanto abitanti indigenti, che “si accontentano” pur di beneficiare di un canone basso e proprietari disposti a chiudere un occhio e passar sopra alle condizioni di sovraffollamento. Nelle città del triangolo industriale, dove chi scrive ha vissuto per anni, lo spopolamento e il degrado dei centri storici (esistono anche lì) aveva attratto negli anni settanta i “terroni” di immigrazione interna (il termine dispregiativo dà un’idea del livello di accoglienza da parte degli abitanti storici). La situazione si è ripetuta pari pari da noi, quando si sono affacciati sulla scena i nuovi abitanti, egualmente indigenti in cerca di fortuna, stranieri provenienti da paesi lontani. Chi vive da sempre in un luogo individua in un’unica e indistinta categoria l’insieme di coloro che giungono da fuori. L’uso del termine “stranieri” è generico giacché definisce una categoria di quelle persone che tra loro non condividono ne’ lingue, ne’ religioni e cultura .

via roma

Chi ha amministrato in passato ha considerato che il problema della nuova socialità si dovesse risolvere attraverso i processi di “integrazione-adattamento”, senza definire in quale modo questi si sarebbero realizzati, limitandosi a confidare nel fatto che il successo degli stessi processi restituisse omogeneità alla compagine sociale. Solo negli ultimi anni si sono colti alcuni aspetti fondamentali del problema: vi è un nesso inscindibile tra l’integrazione di persone così diverse e il loro comportamento, la legalità richiede un’educazione e questa si promuove, come nella scuola, non con metodi coercitivi; preservare le culture di provenienza è garanzia di identità delle persone che si adattano ad accogliere contemporaneamente la nuova; i processi di integrazione non si realizzano che attraverso l’inclusione. Illumina in tal senso il disagio nelle banlieu parigine dove gli abitanti hanno perduto l’originaria identità senza acquisirne una nuova. Infine, quando si parla di comportamenti “deviati” , quasi mai hanno come responsabili soggetti che vivono assieme alla propria famiglia. La vicenda del quartiere Roma, o meglio di Porta Galera secondo il toponimo popolare, altro non è che il modello di una realtà presente in molti altri contesti. E’ per questa ragione che numerosi soggetti associativi e istituzionali, tra i quali pure l’organizzazione che fa capo a chi scrive, hanno fondato il proprio impegno sulla considerazione che il quartiere fosse un laboratorio di inclusione con potenzialità straordinarie dovute alla presenza, oltreché dei cittadini storici, di scuole e università, luoghi deputati alla conoscenza in una dimensione universale e quindi multiculturale.
E’ necessario che l’Amministrazione locale affronti i problemi di Via Roma senza pregiudizi, facendosi forte dei molti soggetti che hanno maturato una profonda conoscenza del quartiere e sperimentano con successo il progetto per quella rinascita che è già in atto. Maggiormente importante è che soggetti scarsamente informati, cessino di rappresentare il quartiere come un luogo insicuro nel quale alligna delinquenza e illegalità. A Tal fine fanno fede i dati ufficiali pubblicati dalla Polizia di Stato che rappresentano lo stesso quartiere come luogo nel quale la sicurezza è pari se non minore a quella goduta in altri comparti urbani.

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