Carlo Berra e la sconfitta elettorale del Pd
“Il renzismo non può finire con Renzi”

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Carlo Berra

Carlo Berra, colto e navigato osservatore politico, ha conosciuto tutta la trafila che dal glorioso Pci ha portato al Pd, attraverso sigle intermedie come Pds, Ds e infine – appunto – Pd. Pd renziano, si badi.
Che ne dice, Berra, della débacle che ha travolto il suo partito?
“Guardi, l’unica previsione che ho azzeccato ha riguardato l’affluenza, certamente non un risultato di queste proporzioni”.
Sì, ma cosa è successo?
“Mah! il rush finale della campagna elettorale ha portato i 5 Stelle ad avere un risultato superiore alle aspettative. Avrei ipotizzato, nel migliore dei casi, un 27-28% mentre il risultato, alla fine, è stato superiore e ha penalizzato il Pd. Almeno un paio di punti percentuali si è spostato negli ultimi giorni”.
Che cosa ha sbagliato il Pd renziano?
“Se dovessi stare agli atti del governo… ebbene, errori grossolani non ne sono stati fatti: ritengo non ci fosse alternativa al tipo di politica economica perseguita, ma il merito delle cose fatte o non fatte non ha contato niente e questo deve farci riflettere sul funzionamento delle nostre democrazie. Le democrazie rappresentative sono in crisi su scala quantomeno europea. Sono deboli, esposte a robusti venti di centrodestra. In una situazione come questa le risposte classiche, le risposte della sinistra tradizionale non funzionano più e si impone l’apertura di nuove strade, ancorché difficili da progettare. Ma si tratta, mi lasci dire, di un’analisi complessiva impossibile nello spazio di un’intervista giornalistica”.
Bene, ma il Pd, nelle condizioni date, da cosa può ripartire?
“Dall’opposizione, come dice Renzi”.
Ma queste dimissioni non dimissioni? Lei come le valuta?
Queste sono dimissioni vere, è inutile fare le pulci a quello che dice Renzi quando le sue parole sono di una chiarezza sbalorditiva. Chi va alla ricerca di ambiguità è in malafede, oppure è ignorante. Il risultato elettorale ci chiede di andare all’opposizione e noi andremo all’opposizione. Renzi ha semplicemente indicato un percorso congressuale che inizierà con le sue dimissioni in concomitanza con l’insediamento del nuovo governo: io la ritengo una cosa ovvia, come ovvia è questa fase transitoria. Successe anche con Bersani cinque anni fa. Si dimise dopo una fase conclusasi con l’elezione del presidente della Repubblica. Anche oggi non ci sono ambiguità. Vedo piuttosto una preoccupante miopia politica in chi accusa Renzi di protervia. C’è probabilmente qualcuno che auspica un appoggio a un governo M5S. Ma su quali basi, condividendo quali programmi? In sostanza il Pd dovrebbe portare acqua a un governo non suo, consegnandosi a un sicuro suicidio politico. Non condividi la loro linea e fai cadere il governo? Questi si presentano alle elezioni e finalmente prendono il 50%. Ne sono convinto, per il Pd non c’è alternativa all’opposizione. Renzi ha ragione”.
Di Maio e Salvini.
“Un certo establishment nazionale ha giocato col fuoco, contrastando politiche serie e coerenti. Oggi, anch’esso, si trova con un pugno di mosche in mano: stiamo in Europa o ne usciamo? Che politica economica perseguiamo? Gli apprendisti stregoni di ieri oggi non sanno che pesci pigliare. Lo stesso Berlusconi ha fatto il furbetto, sottovalutando l’energia di Salvini. L’altra ipotesi è la prosecuzione del governo Gentiloni, una nuova legge elettorale entro sei mesi, quindi nuove elezioni”.
Questa legge, per altro, è targata Pd. Nel suo partito oggi siamo alla resa dei conti. Qual è la sua posizione?
“Non lo so, andiamo verso il congresso. Sarà un congresso vero, dibattuto, incentrato su un’analisi complessa dalla quale dovranno scaturire prospettive nuove. Il Pd rispecchia il dibattito che anima oggi la sinistra europea. Ma l’unica sinistra rimasta, anche da noi, è questa, non ce n’è mica un’altra. Questa sinistra deve riflettere e trovare una strada”.
Liberi e Uguali.
“Liberi e uguali è stato un flop spaventoso ma si sapeva che sarebbe finita così. Io li conosco tutti. Hanno fatto una scelta demenziale, folle. Ed errori su errori come la scelta di Grasso, una sciagura. Un giudice come lui, qualora accorto, avrebbe dovuto imparare da Falcone e Borsellino, che mai si sono candidati. Hanno impostato una campagna elettorale che diceva ‘noi siamo la sinistra vera’ quando volevano solo far fuori Renzi. Bersani mi ha deluso molto, poteva benissimo restare nel partito, in minoranza. Poteva rimanere, fare la sua battaglia politica e riguadagnare posizioni al momento buono. Scarsa lungimiranza, questa la sua cifra politica”.

Matteo Renzi e Pierluigi Bersani

Ultima cosa, il renzismo è finito?
Non lo so, ma attenzione il renzismo non è Renzi. Per renzismo io intendo una cultura democratica riformista. In Europa, ieri, rappresentata da Tony Blair, oggi da Macron. E’ l’espressione di un filone culturale che potremmo definire liberal: in America lo incarnano i Clinton, da noi ritengo lo rappresenti anche Gentiloni, peraltro, non dimentichiamolo, quello che scoprì Matteo Renzi. Ecco, ritengo che il renzismo non sia un fatto personale, bensì un indirizzo politico-culturale. Lo scontro, se ci sarà, si svolgerà proprio sulla scelta scelta politico-culturale di una sinistra rinnovata”.
Bene, ma dopo Renzi?
“Vedo personalità adeguate soltanto nella maggioranza che finora ha sostenuto il segretario: Del Rio, cattolico di formazione dossettiana e di statura intellettuale certa; Martina, giovane e di sicuro valore; lo stesso Gentiloni. Viceversa, non vedo competitor adeguati nella sinistra interna: né Orlando né tantomeno Emiliano, privi come sono di autorevolezza e della indispensabile capacità di comunicazione oggi assolutamente richiesta”.

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