Lenti: “La passione di un decennio”

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Per oltre dieci anni di “Corriere Padano” è stata la guida, ma Antonella Lenti, per la nostra testata, rappresenta qualcosa di più del direttore,  pure storico e di lungo corso, che ha accompagnato in quella veste un terzo del cammino fin qui percorso dal giornale. Rappresenta qualcosa di più perché per anni del settimanale, e delle iniziative editoriali collegate, incarnava ai nostri occhi il genius loci, e chi ha avuto l’occasione di lavorare con lei, poi, per diverso tempo, ha provato una sorta di disorientamento nel non trovarla nel suo ufficio (pur piccolo) di direttore. D’altronde Antonella (ora a Libertà) il “Corriere Padano” l’ha quasi visto nascere, essendovi approdata alla metà degli anni ottanta, quando il giornale era giovanissimo (due anni) e il mondo, anche il piccolo mondo piacentino, tanto diverso da oggi.
A proposito, che ruolo ha avuto la testata negli anni ottanta, in quella Piacenza?
“Negli anni ottanta Corriere Padano seppe cogliere i fermenti presenti nella società e già questo rappresentò un merito. Un sapiente uso delle foto, una inedita attenzione alla cronaca nera e alla cronaca giudiziaria, la novità ulteriore rappresentata dallo scandaglio puntuale dell’ambito politico coronarono un modo nuovo di fare giornalismo a Piacenza. Non mancò l’enfasi, ma tutto contribuì a far conoscere il giornale e a lanciarlo. CP fu capace di conquistare credibilità settimana dopo settimana. Ebbe anche un ruolo di pungolo e mi spingo a dire che contribuì a influenzare positivamente la società piacentina, a toglierle qualche ‘ingessatura’ di troppo.”
Negli anni novanta, però, il buio…
“Nell’89-90 un’operazione inaspettata cercò di cancellarci. Fu escogitato un clone del nostro giornale, “Cronache Padane”. Reagimmo confezionando un numero del Corriere in tre, a casa mia, non avendo più una redazione. Lo facemmo per lanciare il messaggio che non volevamo arrenderci. E non ci arrendemmo anche grazie a ragazzi, a giovani che avevano raccolto la sfida e volevano stare dalla parte dei più deboli, che in quel caso eravamo noi. In seguito si andò avanti anche a costo di sacrifici personali. Se oggi CP festeggia trent’anni direi che ne è valsa la pena.”
E oggi? Come vedi la situazione dell’informazione in generale e quella di un settimanale locale come CP?
“Restando all’ambito locale va sottolineato come in quegli anni, gli anni delle origini, il mondo dell’informazione fosse limitato per numero di attori e fosse anche paludato, forse non più corrispondente alle esigenze di quella società in rapido cambiamento. Oggi, in presenza di una moltiplicazione dell’informazione, ma anche di una sua polverizzazione, ritengo che sia necessario, come sempre del resto, andare a cercare dietro la notizia, a scavare sotto la notizia, per far capire ai cittadini che cosa sta realmente accadendo. E’ difficile ed è rischioso ma è quello che si deve fare, a maggior ragione quando si ha una periodicità settimanale.”
Nei suoi anni d’oro CP vendeva molto, era apprezzato dal pubblico e tuttavia c’era chi lo considerava scandalistico.
“La spettacolarizzazione della politica nasceva allora, ad esempio con ‘Repubblica’, e questa tendenza si impose velocemente. CP localmente cavalcò quest’onda e comunque anch’io, allora, mi trovai nella schiera dei critici. La direzione tuttavia era quella e il lato positivo fu di liberarsi delle pesanti cortine che avvolgevano la politica. Quel cambiamento, buono o cattivo, era irreversibile e incontrava il gusto del lettore. E ciò che scrivevi faceva opinione.”
Poi la tua direzione…
“Sono diventata direttore per caso e per necessità nel frangente narrato prima. Avevo paura ma nello stesso tempo non volevo che un’esperienza così importante restasse imprigionata nella formalità, nella routine. Ho cercato di fare del mio meglio e non so se sono riuscita a dare un’impronta al giornale che tuttavia, nei novanta,  smise di essere gracile e tornò a consolidarsi. Abbiamo creato “Ulisse” e “Piacentini”; quest’ultimo nacque, non senza presunzione da parte nostra, sulla falsariga de “I siciliani”, la rivista di Pippo Fava. L’idea era di fare un trimestrale fuori dal coro, di proporre un altro modo di interpretare la nostra realtà e la famosa piacentinità, affermare che esistevano energie nuove in un mondo che si stava allargando. Anche la grafica era alternativa. Prevengo la domanda: oggi forse non c’è più spazio per un prodotto di questo tipo, troppo costoso. E poi mancano i lettori.”
Che cosa ti è rimasto dell’esperienza direttiva? E conservi momenti o episodi di particolare gratificazione?
“E’ una esperienza che mi ha dato molto, ritengo che abbia contribuito ad affinare le mie capacità di approfondimento e perfino di ragionamento. Mi sono presa, naturalmente, infinite arrabbiature e ho sopportato la tensione dell’uscita settimanale. Ma mi è servito, e molto. Quanto alle gratificazioni, ricordo con  particolare piacere i complimenti di alcune persone, passati alcuni anni, in relazione alla mia rubrica ‘Controsenso’.
Se oggi avessi vent’anni ti proporresti di fare lo stesso mestiere che hai fatto?
“Forse sì, ma oserei di più, magari me ne andrei. La tentazione di andare all’estero a fare focacce mi si presenta  ancora. Penso che mantenersi orizzonti liberi contribuisca alla propria formazione in maniera sensibile. Le esperienze lontane sono spendibili anche a livello locale”.

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