Opinioni – Porta Galera, tavolo delle associazioni:
un lavoro esemplare

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di Bernardo Carli – Uno dei problemi di cui soffre il mondo del volontariato è quello della carenza di un coordinamento che non sia soltanto confronto, ma una modalità di mettere insieme energie e risorse. “Mettere insieme” significa economizzare ogni tipo di risorsa, dal patrimonio umano a quello materiale, ma anche promuovere una migliore conoscenza dei bisogni, affinché la risposta alle domande di intervento sia quanto più puntuale grazie alle competenze che stanno nell’identità di ciascuna associazione.
L’esperienza in atto da più di un anno in un quartiere “delicato” come quello di Porta Galera ha un valore che può interessare l’intero territorio. Un tavolo mensile di confronto non è una novità, ma lo è il fatto che l’iniziativa nasca dalla base; esso è l’erede senza eredità materiale del progetto dell’Amministrazione Comunale (“Porta Galera 3.0), un coordinamento nel quale i soggetti associativi si organizzano liberamente da soli, pur nella prospettiva di un dialogo con l’Amministrazione locale. Al tavolo, che ha trovato fino ad oggi casa presso la sede di S.V.E.P. (Servizio Volontariato Emilia Piacenza Onlus), partecipano associazioni e organizzazioni che operano sia localmente che, attraverso le delegazioni, in una dimensione nazionale e internazionale. Anche se analoghe esperienze istituzionali, nate in altri territori, hanno registrato una progressiva perdita di partecipazione, questo non accade al tavolo di cui si dice, che si sta arricchendo di un numero sempre maggiore di attori. Alle associazioni che operano nel quartiere multietnico, si sono aggiunti soggetti come Auser, gli Alpini, ma anche altre come Lega ambiente o Amnesty International. Recentemente il tavolo ospita anche qualche associazione di stranieri, nate per offrire aiuto e favorire l’integrazione salvaguardando l’identità culturale delle diverse etnie. L’eterogeneità dei soggetti presenti al tavolo garantisce un confronto sulle tematiche generali del “sociale”, mantenendo un contatto diretto con la realtà, perché è in questa che si attuano i diversi progetti che vanno dalla manutenzione del quartiere all’assistenza alle fasce più deboli della popolazione passando per le manifestazioni culturali e ludiche. Per fare qualche esempio, significativo è il progetto che sta svolgendo Auser nei confronti dell’assistenza domiciliare alla popolazione anziana, dove la stessa Auser non solo opera in prima persona , ma si dedica alla formazione dei giovani in età scolare perché diventino protagonisti preparati al contatto con una utenza fragile. L’idea di una formazione al volontariato è nata nelle discussioni che si tengono al tavolo, rafforzando il pensiero che “fare volontariato” richieda un addestramento professionale. Illuminante in tal senso è l’esperienza della Onlus Arcangelo Di Maggio, presente nel quartiere con un ambulatorio medico aperto alle esigenze di chi per diversi motivi non è in grado di accedere alle strutture del Servizio Sanitario: questa ha promosso assieme alla Asl un percorso formativo di alta qualità. Altra esperienza valida è il rapporto che si è instaurato tra le diverse organizzazioni che promuovono l’alfabetizzazione di adulti e bambini, inserendola in un più vasto disegno di promozione culturale della intera popolazione residente nel quartiere e fuori di questo. Le feste e le altre attività svolte in strada per merito di “Matti da Galera” sono anch’esse parte di quel disegno di cui si diceva . Sì perché ciò che ciascuno fa, acquisisce ricchezza se viene inserito in un contesto generale, giacché ogni singola operazione deve essere funzionale ad un intero sistema, come fosse l’ingranaggio di un orologio.
In questo periodo il tavolo promuove un sottogruppo che lavora sul tema specifico della migrazione e delle ripercussioni che ha sul territorio. Nello specifico l’esigenza ravvisata durante le ultime riunioni è quella di esplorare con realismo la situazione che si prospetta nel territorio mano a mano che giungono a termine i progetti di accoglienza dei profughi, ovverosia quando a questi non sarà più garantito alloggio e vitto insieme a quelle attività di accompagnamento al lavoro nelle quali sono impegnate diverse agenzie. Accadrà che mano a mano un ingente gruppo di persone si aggiungeranno alle già molte prive di lavoro e di tutela. La realtà dell’accoglienza è assai più complessa di quanto possa apparire per la presenza di strutture pubbliche, istituzioni, associazioni. Ciò rivela che problema va ben oltre le soluzioni semplicistiche suggerite da improvvisati esperti. Lo stesso fenomeno della “clandestinità” è difficilmente rilevabile mentre i provvedimenti a livello locale spesso porgono attenzione soltanto sul problema della sicurezza eludendo ogni analisi sia qualitativa che quantitativa del problema. Il tema è importante perché rappresenta una parte di quel contesto riferimento di cui si diceva. Questo è solo una piccola parte di quanto passa su un tavolo che, per natura di soggetti impegnati sul campo, evidenzia la volontà di operare fattivamente senza disperdere energie e risorse.
In previsione di un futuro trasferimento di Svep in altra sede fuori dal quartiere-laboratorio, si va rafforzando l’idea che nello stesso quartiere che, come si diceva è luogo di criticità ma anche di risorse da mettere a servizio dell’intero territorio, si apra uno spazio di rappresentanza delle diverse associazioni del tavolo. Si tratterebbe di un presidio di solidarietà “di strada”, dotato di una segreteria e di un piccolo spazio per riunioni e incontri. La scelta della collocazione di tale servizio nel quartiere tende ad affermare una identità di questo come luogo di civiltà e di cultura in quella dimensione di futuro nel quale anche il fenomeno di insediamento di persone di altre culture possa essere governato attraverso operazioni di “inclusione” e non di mera integrazione.

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