L’amministrazione dovrebbe “ricucire” le divisioni
invece di cedere a una livorosa rivincita

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di Bernardo Carli – “… e poi dice che uno si butta a sinistra …” La frase dell’aristocratico-popolano Antonio De Curtis, in arte Totò, conserva ancora la sua esilarante freschezza malgrado i quasi settant’anni del film “Totò e i re di Roma”. Per la cronaca, il film, diretto da Steno e Monicelli, non sfuggì all’occhio della censura, che pretese diverse correzioni in ossequio alla politica del momento, che tuttavia non lo privò della frase in questione.
Altri tempi quelli di un dopoguerra nel quale il concetto di sinistra evocava il pericolo di sovvertimenti che sarebbero andati a turbare gli accordi di pace stipulati tra vincitori che solo per far fronte alla follia nazista si erano trovati a combattere dalla stessa parte. Sta di fatto che la felice battuta del film rappresenta qualcosa che ha del vero pur nel sommario resumè di ideologie spicciole. Nelle vulgata quel concetto di sinistra poco aveva a che vedere con intellettuali e pensatori, lotta di classe e rivendicazioni dei lavoratori: era piuttosto il rifugio paradossale e quasi pericoloso di una classe di piccolissima borghesia impiegatizia.
Successivamente il modo di vedere non ha mai conosciuto tanto cambiamento;  sta di fatto che ancora qualcuno “si butta a sinistra” o ci abita stabilmente.
Tempo fa discutevo con un caro amico, convinto conservatore, fedele elettore del centro destra. Per vizio contratto nella scuola, mi permetto una breve parentesi di ammaestramento per chi avesse la pazienza di leggermi: l’amicizia che si fonda sulla stima, radicandosi nel tempo, non conosce schieramenti pre-concetti, ma piuttosto si arricchisce ogni qual volta il dibattito prende spunto da posizioni diverse.
Tornando al tema, il mio amico lamentava che molti che praticano il volontariato come me fossimo in gran parte schierati con la sinistra, quasi si trattasse di una scelta di capriccio.
L’affermazione ha del vero, con l’aggiunta che il fenomeno del quale si diceva ha subito una forte accelerazione da quando nell’area della sinistra sono confluiti a pieno titolo i cattolici di quel grande partito popolare che era la Democrazia Cristiana di De Gasperi e di Moro.
C’è tuttavia da dire che, pur in un periodo nel quale ogni ideologia viene guardata con sospetto, ciò che lega la frastagliata e a volte contraddittoria compagine della sinistra sono i valori che si sono andati a sommare nella nuova aggregazione. Ciò che oggi si definisce sommariamente con la parola “sociale” sta nella sinistra in virtù d’essere parte del suo dna. La cultura della tolleranza, il rispetto dell’ambiente, l’eguaglianza tra i cittadini, certi diritti fondamentali che esulano dal puro guadagno o dalla proprietà, l’accoglienza e la coesione sociale,  sono il retaggio storico più prezioso di una nuova sinistra, articolata e coesa  che a buon ragione ne può rivendicare una assidua pratica da quando la repubblica italiana è nata. Il ragionamento si potrebbe prestare ad equivoci se il blasone costituito da tale patrimonio desse luogo a settarismi che  potrebbero escludere altre forze dalle pratiche di virtù. Sarebbe una grave contraddizione nei confronti degli stessi valori da parte di chi li considera come universali.
La convinzione di chi scrive è che sia necessaria una rifondazione dell’intero Stato e meglio ancora dell’Europa, perché l’attenzione sia per la crescita umana prima che economica. Se la politica della destra sapesse farsi interprete delle umane istanze, mettendo in secondo piano le utilità dei poteri forti, la società intera non potrebbe che averne vantaggio. Al tempo stesso con molta umiltà mi sento di chiedere a quella sinistra nella quale credo, che non dimentichi la propria storia che è fatta di confluenze, di condivisioni raggiunte con fatica, di apertura mentale, di cultura nella quale il concetto del progresso pone l’uomo e i suoi bisogni essenziali e interiori al centro di ogni azione di governo.
Scendendo su un livello più basso, mi permetto sommessamente di osservare che i primi passi della nostra nuova amministrazione locale non siano esattamente mirati a “ricucire” una compagine sociale malata di separatezza, ma al contrario indulgano spesso verso una livorosa rivincita. Tanto per fare un esempio, dietro la chiusura dei centri di aggregazione giovanile sta la sbrigativa considerazione che questi siano luoghi di pratiche d’opposizione, quasi fossero epigoni del temuto Leoncavallo milanese. Tale opinione non è  tanto nascosta giacché emerge dalle rozze  dichiarazioni di alcuni consiglieri. Prudenza e lungimiranza sono le virtù di chi governa; porsi delle domande sui giovani, sui problemi che questi affrontano è doveroso quanto servirsi del contributo di chi meglio li conoscono per studio ed esperienza. Questo è un piccolo consiglio e una speranza perché il buon governo, scevro da pregiudizi, posa essere prerogativa sia della destra che della sinistra a pieno vantaggio della comunità.

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