Il fiume, gli artisti, i giovani, la trasgressione
Tutto ciò che Piacenza non ama

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di Bernardo Carli – L’occasione di una riflessione è il reading di poesia del Liceo Colombini in occasione della mostra Territoria in vicolo del Guazzo, della quale abbiamo già detto. Mi era stato chiesto un piccolo contributo e, giacché si parlava di natura e ambiente, capitava a proposito il fiume Po, Piacenza e il poeta Nello Vegezzi. Il ragionamento stava nel fatto che la città non ha dimostrato particolare interesse per il fiume e tanto meno per Nello Vegezzi. Così mi son messo a fare un elenco di tutto quello che la città, o meglio la sua popolazione non “gradisce;” una sorta di inventario scomodo, non per disamore per la città che ho scelto, ma al contrario. Un anziano sposo fedele apprezza anche le rughe della non più giovane moglie o amante.
Da questo ragionamento è nato quello che propongo di seguito sotto il titolo “Piacenza non ama”, riflessioni cariche di passionalità, anche discutibili, di un osservatore amoroso, che ha vissuto altre storie e altri luoghi.
“Piacenza non ama il fiume”. Per il viaggiatore che va dal sud al nord, Piacenza è più di ogni altra la città del fiume: quando il rumore del treno si fa sordo e cupo perché traversa il ponte di ferro, la città è appena passata e resta al viaggiatore l’ amarezza per un appuntamento mancato, per non averla vista come avrebbe meritato. Malgrado Piacenza sia la città del fiume, lo tiene a distanza sopportandone con malavoglia e sorpresa le intemperanze stagionali. Il Po è un confine e sembra che la città se ne sia ritratta per guardare verso le colline del sud. Solo i Farnese, che non erano certo “del sasso”, vollero il palazzo in vista del fiume con giardini e orti fin sulla riva; ma poi, scamparsi i signori, pure questo, rimasto incompiuto, si ritrasse lasciando libero uno spazio che, con la scusa di voler rispettare il Palazzo, rimasero fortunatamente verdi. No ce ne voglia nessuno se diciamo che le ragioni di tanto rispetto, pur giuste, peccano di ipocrisia, giacché dall’altra parte si è costruito e si seguita a costruire, privando lo stesso palazzo di un ingresso decente. Altre città usarono il fiume come scenario per la propria grandezza, si pensi a Parigi, a Roma o anche a Firenze, anche se per quest’ultima la chiusura alla vista del fiume del costruito Ponte Vecchio, fu legato all’agorafobia e alla necessità di difesa medievali. Piacenza, se pur stando accucciata su un solo lato della riva, da questo si estranea anche se la sua funzione di confine è diventata aleatoria.
E’ pur vero che in tempi non lontanissimi il fiume fu luogo di balneazioni popolari, ma poi, da quando le acque son diventate velenose il fiume è tornato ad essere estraneo alle frequentazioni popolari.
Egualmente Piacenza non ama gli artisti; o meglio, non ama la trasgressione che taluni artisti, praticano giudicandolo un vizio. E’ questo il caso di non pochi, tra i quali Nello Vegezzi poeta felice inquieto e amante della vita, oppure di Ludovico Mosconi, grande artista del ‘900. Vegezzi non ha uno straccio di ricordo nella città, mentre Mosconi ha avuto il piccolissimo onore di una strada nel periferico quartiere di Mortizza. Del resto a  Bruno Cassinari resta intitolata una stradetta senza uscita tra la ferrovia e l’autostrada e se non fosse stato per la buona volontà di un corpo docente e del suo preside (!), non sarebbe stato rammentato nel Liceo Artistico. Le ragioni di tante dimenticanze, e queste sono soltanto alcune, stanno spesso nel fatto che “Piacenza non ama trasgressioni” e originalità. Vale la pena perdere un attimo di tempo per dire che gli artisti hanno spesso un dono splendido e scomodo: ogni loro percezione di espande, ogni sentimento è travolgente, sia esso di felicità, di amore, di sdegno o dolore. L’arte è difficile da contenere nell’animo umano che ha i suoi limiti, così spesso deborda oltre le opere e diventa per qualcuno esagerazione incomprensibile e riprovevole. Piacenza è città dove tutto è sommesso, dove è da temere tutto ciò che potrebbe minare l’antica quiete. Ne fanno le spese i giovani, protagonisti del futuro che hanno bisogno di rispetto e di spazio, di inventare e dare sfogo a quel rumoroso subbuglio dal quale nascono le idee. Piacenza non ama i giovani, se non quando sottostanno alle regole degli adulti, al riposo e all’ordine. Ne fanno spesso le spese i progetti per il futuro, accolti con modesta convinzione e qualche sospetto. Da qui troppe idee e vocazioni irrealizzate (città della logistica, del cibo, dell’università, della cultura, della musica, dell’arte, dei bambini …), sogni che somigliano a quelli dell’adolescenza, dove i piccoli si immaginano in modo effimero in un ruolo, senza conoscerlo. La città sogna sé stessa. Piacenza non ama conoscere i propri difetti; gode dei propri pregi, che sono molti, ma non li vuole porre sulla bilancia assieme ai difetti.
Se non vuol soccombere e retrocedere al ruolo di villaggio, la città deve avere il coraggio di fare il proprio “bilancio di competenze”: dovrà mettere in relazione  i suoi pregi e potenzialità, con i suoi limiti e difetti; solo allora potrà lavorare per il futuro. Tutto questo esula dai già visti “stati generali”, pieni di buone intenzioni e vuoti di progettualità, ma al tempo stesso non basta che chi la governa lavori sul contingente: ordine, pulizia, tranquillità, strade pulite, giardini ben tenuti, sicurezza. Questi sono soltanto gi obbiettivi obbligatori, il grande segno di discontinuità sta nell’elaborare insieme a tutti  un disegno credibile e realizzabile sul futuro. Allora si potrà  finalmente affermare che “Piacenza ama il futuro”

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