Al convegno di ISREC Piacenza “Fascismo in marcia”, Bersani: “Non accetteremo che la storia sia oscurata”.

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È stato affollato il convegno pomeridiano sul “Fascismo in marcia” di venerdì 28 ottobre, nella suggestiva cornice della Fondazione di Piacenza e Vigevano, in memoria del centenario della Marcia su Roma. A farne da relatori il presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Piacenza Pier Luigi Bersani, il direttore dell’ISREC di Ravenna Giuseppe Masetti, il docente dell’Università di Padova Matteo Millan e lo storico e saggista Mimmo Franzinelli, in connessione da Montevideo per l’occasione. Infine, è stato trasmesso il breve documentario “Il fascismo in marcia nei territori” con alcune voci sulla violenta conquista del territorio piacentino da parte delle camicie nere nel triennio 1919-1922. Tanti temi affrontati come previsto nei tre giorni di ricorrenza nella nostra provincia dei tragici fatti che a livello locale e nazionale portarono al trionfo delle forze fasciste, ma tra tutti il reducismo della Prima guerra mondiale che andrà a rafforzare le file del nascente movimento fascista, la cui forza sarà soprattutto appartenente a studenti e borghesi delusi dal traballante sistema liberale italiano; le violenti marce paramilitari delle squadre d’azione che troveranno nella Val Padana e nella stessa Emilia-Romagna, regione con una storica tradizione di agricoltura industriale e di rivendicazioni proletarie, un terreno di coltura dove diffondersi con sparatorie, pestaggi e violenze mortali; la necessità di rimettere ‘in ordine’ la società italiana vista come allo sbando ed esposta a rischi rivoluzionari di sinistra.

Bersani, aprendo il convegno, ha affermato senza mezzi termini che “non accetteremo che questa storia sia oscurata o deformata. Non si tratta di un dibattito d’accademia su quanto i Longobardi abbiano assorbito della romanità.” Ritenendo la Marcia su Roma e l’avvento del fascismo ancora di grande attualità per la cultura e la società italiana, di cui risentono ancora fortemente l’influenza. La parola è poi passata allo storico Franzinelli, in collegamento dall’Uruguay, che ha ripreso l’interpretazione del filosofo Benedetto Croce del fascismo come di un’invasione barbarica in un primo dopoguerra economicamente disastrato, tra sinistre scissioniste e massimaliste che guardavano con simpatia alla nascente Russia comunista, una borghesia spaventata da rivoluzioni di piazza e i fascisti nati e circoscritti politicamente a Milano che si ponevano come alternativa a tutti. La classe dirigente del Regno d’Italia, ancora quella liberale giolittiana di inizio Novecento, credette di poter usare questi facinorosi sciovinisti col manganello, vestiti a metà strada tra pirati e briganti, come forza politica subalterna per il mantenimento dell’ordine. Ben presto, i fascisti di Benito Mussolini preferirono, alle regolari elezioni parlamentari in cui trionfavano cattolici e socialisti, la strada dell’accerchiamento violento delle strutture strategiche dello Stato per poi piegarlo alla propria volontà, già messe in seria crisi dalle violenze dei reduci scontenti per la ‘vittoria mutilata’ alla Pace di Versailles. Nell’immediato dopoguerra, nel 1919, il governo Nitti emanò, ad esempio, una circolare prefettizia in cui si invitavano i partiti d’ordine a cooperare coi gruppi ‘patriottici’ per sventare tentativi rivoluzionari. “A Piacenza si formò l’Associazione di Difesa Sociale e successivamente, quando nelle campagne iniziarono a imperversare le squadracce, il giornale agrario piacentino vide nei fascisti i fautori dell’ordine e del lavoro padronale contro le richieste del proletariato. Anche il quotidiano di Piacenza Libertà fu di questo avviso, tanto da scrivere alle elezioni del 1921 (caratterizzate da brogli e intimidazioni) la necessità di un ‘governo forte’ alla guida del paese”, ha aggiunto lo storico Millan. Dall’ottobre 1922 al fascismo si apriranno le porte del governo, ne cancellerà i tratti democratici e i nemici della patria diventeranno gli antifascisti, mentre le squadre d’azione saranno istituzionalizzate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Franzinelli è tornato sul significato di ‘patria’ per il fascismo e su certe analogie contemporanee: “I membri di maggioranze politiche non possono autoeleggersi patriote quasi a sottintendere che gli altri siano i ‘nemici della Patria’”.

Infine, il direttore dell’ISREC ravennate Masetti ha presentato il volume ‘Le origini del fascismo in Emilia-Romagna 1919-1922’, con i contributi di vari ricercatori, sulla cronologia delle violenze e delle sopraffazioni fasciste nelle varie province emiliano-romagnole come Parma, Modena, Bologna, il Comprensorio imolese, la Romagna, mentre è in fase di ultimazione il contributo su Piacenza. “Il movimento fascista delle origini romantiche e futuriste scomparve subito in favore del braccio armato e violento di studenti ed ex soldati, sostenuto da industriali e possidenti agrari, spesso con la connivenza delle stesse forze dell’ordine”, ha concluso Masetti.

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