Tornano in libreria gli scritti di Grazia Cherchi
Piergiorgio Bellocchio: “Le idee, i libri e l’amicizia”

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Grazia-Cherchi-1Torna in libreria un piccolo gioiello: Minimum Fax ripubblica “Scompartimento per lettori e taciturni”, una raccolta di scritti di Grazia Cherchi, grande critica letteraria, scomparsa più di vent’anni fa. Personaggio di spicco del mondo letterario italiano, sin da quando, nel 1962, diede vita alla rivista “Quaderni Piacentini”, la Cherchi fu personalità anticonformista, ribelle alla cultura-spettacolo e seriamente impegnata contro la mercificazione della cultura. Nata a Piacenza nel 1937 e scomparsa prematuramente nel 1995, si dedicò alla rivista da lei fondata con Goffredo Fofi e Piergiorgio Bellocchio fino al 1985. Lavorò anche come lettrice e consulente presso varie case editrici, collaborò con popolari rubriche letterarie a giornali e riviste (Il Manifesto, Panorama, Linus, Il Secolo XIX, L’Unità) e svolse fino agli ultimi giorni la professione di editor.
Scrive Goffredo Fofi su Internazionale: “In questi testi, raccolti nel 1997 da Roberto Rossi, emerge la vena narrativa, la capacita di sintesi comunicativa, l’acutezza dei giudizi, la moralità ed eleganza della scrittura, l’ironia e la vitalità (oggi qualità rare), basate sulla passione per la letteratura e sulla curiosità esigente per la società di quegli anni, sia la letteraria sia la politica”.

scompartimentoGrazia Cherchi – Scompartimento per lettori e taciturni (Articoli, ritratti, interviste) – Minimum Fax, 336 pagine, 15 euro

Ne riportiamo il testo introduttivo, scritto da Piergiorgio Bellocchio, che condivise con lei l’esperienza dei Quaderni Piacentini.

LE IDEE, I LIBRI E L’AMICIZIA

di Piergiorgio Bellocchio

I.

Questa raccolta restituisce solo in parte il ritratto intellettuale di Grazia Cherchi. E non tanto per l’ovvia ragione che si tratta di una scelta (Roberto Rossi ha operato con tanta sapienza che l’inevitabile sacrificio di un’abbondante quota di scritti non altera la figura di Grazia come critico militante). No, il ritratto resterebbe monco anche nel caso in cui questo libro ne riproducesse l’opera omnia.
Il punto è che gran parte del lavoro di Grazia non s’è fissato in saggi e articoli. Mi riferisco anzitutto e soprattutto al primo tempo della sua attività , quello che dal 1962 al 1980 vede Grazia assorbita dall’«impresa» dei Quaderni piacentini. Un lavoro direttivo, organizzativo, redazionale estremamente ampio e complesso, di cui non resta traccia. Il secondo tempo, che inizia negli ultimi anni della rivista e si conclude con la morte di Grazia (alla lettera: scrive fino alla vigilia e, quando non ha più la forza nemmeno di tenere in mano una matita, detta con la voce che si sta spegnendo), è quello in cui scrive e firma i suoi pezzi per Linus, Linea d’ombra, Panorama, Il Secolo XIX eccetera, e soprattutto l’Unità .
Due tempi nettamente diversi e distinti: pubblico, il secondo; sommerso, ufficioso, segreto, il primo. E tuttavia, se leggiamo i suoi pezzi usciti nel 1962-1963 sui Quaderni piacentini, troviamo una Grazia poco più che ventenne già  perfettamente «armata» per svolgere il ruolo di critico e cronista culturale. Se questa attività  viene quasi subito dismessa, per essere ripresa quindici anni dopo, è per dedicare tutte le sue energie alla direzione e gestione della rivista: una scelta pratica, ma anche il segno di una precisa vocazione. Anche nel secondo tempo, quello pubblico, c’è una parte sommersa della sua attività , tutt’altro che secondaria: il lavoro di lettrice-consulente editoriale e quello di editor.
Infine, se negli anni Ottanta e Novanta si fosse data la possibilità  di un giornale, di una rivista indipendenti di cui potesse condividere l’orientamento politico-culturale, sono sicuro che Grazia avrebbe di nuovo sacrificato volentieri il ruolo di giornalista per quello di animatrice e organizzatrice. In lei la spinta a collaborare a un progetto collettivo era decisamente più forte, vitale, appagante della componente individualistico-narcisistica propria dello scrittore.

II.

Grazia è sempre stata una lettrice appassionata e insaziabile. In tanti lo siamo stati: lettori onnivori, soprattutto nell’età  più giovane. Poi, o si smette quasi di leggere o si selezionano drasticamente le letture, privilegiando questo o quel genere e abbandonando il resto. Per quel che mi riguarda, da oltre vent’anni ho praticamente abolito la letteratura contemporanea, non solo italiana. Quando ci si incontrava con Grazia, anche negli ultimi tempi, una delle sue prime domande era immancabilmente: «Che cosa hai letto?»
A parte i miei interessi per la storiografia e la memorialistica, per stare alla letteratura, che era il campo che a lei premeva, rispondevo, secondo verità  ma sapendo bene di deluderla, e anzi con un pizzico di malignità , che avevo ripreso la lettura, che so, di Dante, del Belli, delle tragedie di Manzoni, di Pinocchio… Lei si spazientiva, non perché non amasse i classici (che non cessò mai di praticare), ma la sua domanda si riferiva ovviamente ai contemporanei. E mi snocciolava subito venti o trenta titoli di narrativa, italiani e stranieri, di recentissima uscita, che l’avevano in varia misura eccitata o delusa, che le erano piaciuti o dispiaciuti, e dei quali avrebbe volentieri discusso con me. Titoli e nomi che, nove volte su dieci, non mi dicevano assolutamente nulla.
Grazia non poteva fare a meno, come alimento quotidiano, della letteratura contemporanea. Era anche il suo modo di partecipare alla vita sociale, collettiva. Le dicevo che, per questo, bastavano i giornali e la televisione. Ma lei replicava che il filtro soggettivo di uno scrittore, anche mediocre, produceva sempre un di più di conoscenza. Il suo rapporto col mondo, con la vita, aveva bisogno di essere sempre personalizzato.
Era praticamente impossibile sentirle usare categorie come «gli uomini», che ragionasse in termini di classi, gruppi, tipologie (che so: il ceto medio o gli avvocati, i contadini, le insegnanti, gli scapoli…). Per lei esistevano solo singole persone, individui, ognuno con propri gusti, ambizioni, frustrazioni, esigenze, vizi, virtù, felicità , infelicità  eccetera. L’esperienza e il destino di ciascuno erano qualcosa di unico, anche se non sempre interessante. E ognuno aveva qualcosa di suo da dire, anche se poteva non essere capace di esprimerlo bene. La letteratura restituiva agli uomini la voce personale – l’anima – che la vita pratica tendeva inesorabilmente a soffocare.
Insomma, tra Grazia e la produzione letteraria c’era un rapporto intimo, organico, vitale. C’era da sempre, ben prima che lei pensasse di occuparsene professionalmente, e avrebbe continuato a esserci anche se non avesse mai scelto di fare il critico-giornalista. Nel qual caso non avrebbe però mai rinunciato a parlare delle sue letture con amici e conoscenti (nonché con occasionali compagni di viaggio), a confrontare emozioni e giudizi, a consigliare e sconsigliare.

III.

Un altro cospicuo «pezzo» della vita intellettuale di Grazia inevitabilmente escluso da questa raccolta riguarda l’editing. In senso generale, editing è qualunque rielaborazione e messa a punto redazionale operata sul testo di un autore prima che passi alla composizione. E quindi vi rientra quel lavoro cosiddetto «di cucina» che chi abbia esperienza giornalistica e editoriale conosce bene. Un’attività  che Grazia esercitò sempre, con scrupolo e competenza, per tutti i vent’anni dei Quaderni piacentini.
Ma il nome di Grazia è legato a un tipo di editing ben altrimenti qualificato, cioè la rielaborazione di testi, come si usa dire, di genere creativo: romanzi, novelle, racconti. Un lavoro, cui Grazia si dedicò soprattutto nell’ultimo decennio, che esige doti sia critiche che creative. Grazia possedeva le qualità  essenziali del critico letterario – comprensione del testo e giudizio – che però preferiva profondere nel lavoro di editing che non nella critica militante. E anche le sue notevoli risorse di scrittrice Grazia aveva scelto di esprimerle, più che attraverso opere proprie, collaborando a opere di altri.
Tra i molti autori con cui Grazia stabilì un proficuo rapporto di collaborazione troviamo Benni, Baricco, Maggiani, Bettin, Riotta, Deaglio, Pivetta… Scrittori affermati, premiati, alcuni addirittura bestseller, e – ciò che più colpisce – molto diversi tra loro, per genere, tematica, stile. Il che rivela in Grazia una particolarissima capacità  di capire, appropriarsi, calarsi dentro mondi poetici e modi espressivi, una capacità  straordinariamente estesa, articolata, proteiforme.
Qui devo fermarmi. Un discorso specifico sull’editing potrebbe esser fatto solo dai suoi diretti fruitori. Non da me, che non solo non ne ho mai personalmente beneficiato, né da Grazia né da altri, ma neanche ho mai esercitato per altri le funzioni di editor. Un lavoro insomma che non conosco né come attore né come fruitore e che mi risulta abbastanza misterioso. Forse può aiutare a capirne qualcosa un ritorno ai tempi dei Quaderni piacentini.
A parte l’editing – quell’editing, ovvero lavoro «di cucina», che eseguivo anch’io, più o meno come lei – ciò che Grazia sapeva fare con un talento unico era il lavoro di stimolo a produrre nei confronti dei collaboratori. Che, in quella sede, non erano romanzieri o narratori, ma sociologi, economisti, storici, studiosi di filosofia, ideologi, critici della cultura eccetera, cultori di discipline che non erano precisamente di competenza di Grazia, così che era difficile, se non da escludere, pensare che lei potesse dare una collaborazione di merito. Tuttavia la stimolazione risultava efficacissima per il rapporto personale che Grazia riusciva a stabilire: un rapporto di fiducia, di stima, di simpatia, di confidenza, di solidarietà , d’amicizia. E’ lo stesso tipo di rapporto che successivamente la legò ai narratori, aggiungendosi in questo caso la capacità  di collaborare nel merito.
Grazia non è stata solo l’esperta che suggerisce all’autore di tagliare qui, sviluppare là  eccetera eccetera – insomma quello che generalmente s’intende per lavoro dell’editor. Spesso è stata l’amica dell’autore. Quando lo riteneva meritevole, Grazia «adottava» il libro a cui aveva prestato la sua collaborazione. Era capacissima di trattare lei con l’editore per la pubblicazione del libro e di ottenere il contratto più vantaggioso per l’autore – il suo autore. Rivelando anche una praticità  insospettabile, dato che la praticità  era precisamente la dote che più le faceva difetto: non sapeva usarla per sé, ma per gli amici sì. Svolgeva cioè spontaneamente e gratuitamente i compiti che sarebbero stati propri dell’agente letterario. E ancora i compiti che sarebbero stati propri dell’ufficio stampa, cioè la strategia delle recensioni, delle anticipazioni, delle interviste. Sapeva con grande sicurezza che per quel certo libro su quel tal giornale il miglior recensore possibile era Tizio piuttosto che Caio eccetera eccetera. La sua dedizione arrivava anche a interessarsi dei premi letterari – che non amava (tanto da non aver mai accettato di far parte di una giuria) – ma che per l’autore rappresentano una forte gratificazione e per il libro una buona promozione.
Senza voler entrare nei misteri dell’editing, è significativo che per Grazia queste «prestazioni» facessero tutt’uno con i suoi compiti di editor. E danno un’idea, oltre che della generosità  di Grazia, del particolare clima in cui l’editing si svolgeva. Credo che in genere il rapporto tra autore e editor sia tutt’altro che facile. L’autore oppone sempre, consciamente e inconsciamente, una forte resistenza all’intervento altrui sul proprio testo – anche quando l’editor sia scelto dall’autore. Che questa resistenza venga in parte meno, dipende dall’autorità  e dalla professionalità  del critico-editor, doti che Grazia possedeva senz’altro. Ma anche da ciò che parrebbe contraddire professionalità  e autorità: la personalizzazione del rapporto, la fiducia, la confidenza, l’amicizia che si stabiliscono tra autore e editor. Quanto più circola una certa qualità  di eros, di seduzione reciproca – l’eros che agisce in molti incontri artistici, per esempio autore-interprete, regista-attore eccetera – tanto più produttiva diventa la collaborazione.

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