Salumi in festa, la pancetta del nonno

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Le storie popolari ci raccontano che nelle nostre campagne si festeggiava la mietitura con una bella tavolata sull’aia dove le prime pancette venivano affettate assieme al pane fatto in casa.
Il vino era rigorosamente frizzante, Barbera o Gutturnio, anzi “amandorlato”. Cosa è rimasto di tutto ciò? Oggi la pancetta è garantita dal marchio DOP che garantisce l’esistenza dei “minimi standard”: maiali emiliani o lombardi, salatura a secco, stagionatura di almeno 3 mesi in celle appositamente organizzate. Queste non erano le pancette che tagliavano i nostri nonni. A giugno si tagliavano le pancette “fatte su” a novembre dell’anno prima, quindi con almeno sette mesi di stagionatura ottenuta naturalmente, prima in soffitta e poi in cantina, godendo effettivamente del microclima tipico del territorio. La pancetta di tre mesi è troppo “fresca”, il grasso non è ancora maturo e quindi non ha ancora sviluppato la delicatezza e i sentori che solo più tardi si ottengono. Per ritrovare le pancette dei nostri nonni dobbiamo fare un po’ di strada e cercare sulle nostre colline i macellai che ancora “fanno su” e magari macellano. Oppure conoscere qualche salumiere che ha ancora a cuore la qualità e va lui sulle colline a cercare la “pancetta del nonno”. Si possono trovare pancette stagionate da più di un anno…una bontà. Buon appetito. Non dimenticate il rosso “amandorlato”, ne esiste ancora. Ne riparleremo.

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