Quel sassolino nella scarpa – La Buttiga piacentina
alla conquista della Milano da bere

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di Jennifer Ravellini – Istruzioni di lettura:
colonna sonora consigliata: Pongo sbronzo di Vinicio Capossela a tutto volume
bevuta d’accompagnamento: Psycho IPA, de La Buttiga a secchiate

Circa sei anni fa quattro amici giovani, carini, ma non disoccupati come vorrebbe un certo film con Ben Stiller, rilevarono un birrificio ricavato nella stalla di un’antica corte del Cinquecento a fianco di un frutteto. Della stalla rimane ancora oggi l’immagine del toro in etichetta, del birraio precedente si conservano le birre storiche, se pur rivedute e corrette, e il nome del birrificio, quell’idea tutta piacentina di una buttiga per i tanti amanti di malti e luppoli spesso trascurati nel regno del Gutturnio.
Dopo aver conquistato i locali di casa loro, i quattro, all’anagrafe Luca, Isacco, Stefano e Nicola, decidono di prendere il toro per le corna e cavalcare il mercato milanese. Certo non è più la Milano da bere degli anni Ottanta, ma il Camparino è rimasto in Galleria e le mode qui continuano a dettarsi più che a seguirsi. A chi si aspettava la naturale evoluzione del birrificio in brewpub, i buttigai hanno giocato un tiro mancino con un piccolo locale a due passi da quell’Isola che non c’era ma che ora c’è. Il 17 dicembre 2016 viene così inaugurata la Buttiga Beer Room in via Paolo Sarpi 64.
Alle malelingue i quattro rispondono con un fatturato in crescita costante e con una produzione che si aggira ora sui 1800 ettolitri annui: niente male per un piccolo birrificio artigianale di provincia. La filosofia è vincente: alte le fermentazioni e alto il profilo di chi produce, alto l’entusiasmo e alto il gomito di chi consuma. “Bevi come e quando vuoi” sintetizza il birraio Nicola Maggi, “Ma bevi come un toro!”. La grande sete si vince a suon di pinte a ripetizione, i brindisi si sprecano e i palati si soddisfano con i salumi tipici piacentini. Ai clienti il piacere di un approccio poco milanese: calore e cordialità di provincia contro il servizio impersonale e distaccato della metropoli. In Beer Room ci si chiama per nome e ci si sente sempre un po’ a casa. Anna Pannocchia, il Lord di padre inglese devoto all’acqua minerale, Fafà il giovane pizzaiolo foggiano nato a Milano ma laziale nel sangue, Fabrizio e Michele che nel fine settimana portano coniglio stufato, torte salate e biscotti per tutti, Irene che lavora in via Della Spiga, Donzalo che gareggia in birrette in velocità, degustatori, beer geek,  alcolizzati e abbirrazzati di tutte le età passano di qua.
“Se avessimo aperto a Piacenza” spiega Nicola Maggi “avremmo penalizzato i locali a cui distribuiamo la nostra birra. Non volevamo pestare i piedi a nessuno. In più a Piacenza ora si bevono i cocktail, le birre artigianali rimangono un consumo di nicchia, mentre a Milano la consapevolezza del buon bere è in crescita, ma non è supportata dal numero di locali.” Milano ha il bacino di utenza e la curiosità necessaria per una birreria che non si propone come l’ennesima, bensì come unica in fatto di stile. La maglietta con la scritta “Water is over” è ormai l’oggetto del desiderio di ogni hipster che si rispetti, le beerolimpiadi costituiscono l’evento “sportivo” più atteso della stagione e la pinta con il toro cubista sembra un vero attentato al rispetto del decimo comandamento.
Tante le novità che bollono in pentola con la prima cotta della Russian Imperial Stout in programma per fine anno: in primis una bottaia, poi magazzini nuovi e fermentatori adeguati ad un birrificio in continua espansione.
I piacentini sono, a ragione o a torto, definiti spesso come dei milanesi mancati, ma i buttigai piacentini interpretano ciò che al milanese manca. Forse è questa la ragione per cui La Buttiga ha trovato il suo posto al sole nella nebbia di Milano fra gli occhi a mandorla di Chinatown.

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