Nel 1994 la novità rappresentata dalla candidatura a sindaco di Giacomo Vaciago, evidentemente, saltò agli occhi dei piacentini. La primavera che fa sbocciare i fiori e rinverdire i giardini si era presentata con la vittoria di Silvio Berlusconi e la débacle della sinistra (la “gloriosa macchina da guerra” di Achille Occhetto, 27 marzo ‘94). In quel contesto, con quel clima, in una città tendenzialmente conservatrice come la nostra, conquistare il comune – per il campo progressista – poteva apparire (e in effetti era) concretissima chimera. Ma spuntò Vaciago, l’economista sorridente che sparigliò le carte. Certo, difficile considerarlo di sinistra, e tuttavia il professore seppe conquistare, in un clima di contrapposizione nettissimo, anche la fiducia di un’area consapevole, in assenza di novità, di ineluttabile e forse irreversibile sconfitta.
Vaciago, frutto di una intelligente operazione di vertice del laboratorio politico Alleanza per Piacenza (borghesia progressista, milieu cattolico-democratico di università e diocesi, realismo post-comunista del Pds), incantò la città con una campagna all’americana. Bassotuba e piatti fragorosi per inedite passeggiate elettorali nei quartieri della città, con massaie e famiglie richiamate in strada dalla musica e dall’affascinante narrazione di un professore, un professore british, che sapeva parlare e farsi capire da tutti. Vaciago, insomma, interpretò da par suo il ruolo di candidato-sindaco nel tempo nuovo dell’elezione diretta. E uscito vincitore dalle urne – primo sindaco eletto direttamente dai cittadini – non cessò, per i quattro anni del suo mandato, di interpretare il suo ruolo di sindaco in modo nuovo, sicuramente dinamico. Diede il via a una stagione di rinnovamento per la nostra città, alla guida di una coalizione di centrosinistra con una rilevante componente civica. Incarnò una stagione politica innovativa: un sindaco assai autonomo dai partiti con una forte progettualità politico-amministrativa.
