L’obesità è come il cancro, accorcia l’aspettativa di vita

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bilancia-pesarsiSono giovani adulti, maschi e femmine, con un indice di massa corporea che supera 35 e quindi affetti da quella che viene definita obesità grave: un milione e 300 mila italiani, il 3% della popolazione. Di questi 10 mila l’anno si rivolgono ai chirurghi per uscire dalla spirale del peso che accorcia la vita di dieci anni, come i tumori. L’8% delle neoplasie delle donne è correlato proprio all’eccesso di peso. Sono i dati-denuncia della Sicob (Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche), presentati dal presidente Nicola Di Lorenzo nel corso di un incontro al Senato che ha puntato i riflettori sulla creazione di Obesity Unit. Dei circa 83 centri per l’obesità presenti nel Paese solo 46 eseguono più di cento interventi l’anno e la maggior parte sono localizzati al nord mentre paradossalmente i pazienti sono più spesso nelle regioni del sud, ha spiegato Di Lorenzo. Questa anomalia porta a un grande numero di pazienti che si spostano da regione a regione. La società scientifica ritiene che nei prossimi tre anni il numero di interventi debba almeno triplicare e che i centri di alta specialità per la chirurgia bariatrica (si chiamano così gli interventi per combattere l’obesità) raddoppino con strutture organizzate in Obesity Unit sul modello delle Breast Unit per il trattamento dei tumori alla mammella. La società scientifica calcola necessario un investimento di 150 milioni di euro ma con un risparmio di costi che arriverà a 2 miliardi di euro l’anno rispetto ai 650 milioni di oggi. L’obesità assorbe oltre 8 miliardi di euro l’anno, circa il 7% della spesa sanitaria globale. Ma l’organizzazione delle Obesity Unit non è solo legata ad una questione di costi e di risparmi. “Si tratta di interventi salvavita su pazienti che hanno spesso molte altre malattie come il diabete e l’ipertensione – ha concluso Di Lorenzo – l’intervento chirurgico dà a queste persone una nuova prospettiva di vita ma deve avvenire in strutture specializzate e in condizioni di sicurezza”. Specialisti e associazioni di pazienti chiedono l’alleanza con i medici di famiglia affinché la conoscenza di questa possibilità di trattamento venga diffusa in modo capillare. (da www.ansa.it)

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