“La scuola che ho vissuto e desiderato
Indispensabile quanto spesso mortificata”

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di Bernardo Carli – Non mi piacciono le autobiografie, specie nelle pagine di un giornale dove i lettori hanno diritto a trovare fatti e commenti. Questa regoletta sulle autobiografie la sentii enunciare niente meno che da Ugo Pirro, grande sceneggiatore:  lamentava la mancanza di giovani che sapessero raccontare storie diverse dalle proprie che sono quasi sempre poco interessanti.
Questa volta però il direttore mi ha chiesto un pezzo sulla scuola, non su quel liceo dove ho lavorato per quarant’anni anni a dal quale mi sono separato già da otto anni che continua a popolare i miei transfer notturni. Parlerò della scuola in generale, quella che ho vissuto e desiderato, che mi ha fatto gioire e soffrire, insomma la grande scuola, la migliore e più complessa organizzazione sociale, indispensabile quanto spesso mortificata, usata e abusata o considerata una macchina mangia soldi. Essa è l’istituzione che più rappresenta il vivere civile:  il luogo nel quale tutti abbiamo trascorso un bel pezzo della nostra vita, nel bene o qualche volta nel male, che crediamo di conoscere tanto bene che ci riteniamo autorizzati a dar giudizi, suggerimenti, spesso indignandoci senza aver colto il vero senso di quello che avviene quotidianamente tra quelle le mura (ahimè talvolta degradate e squallide).
Non è cosa da poco educare i cittadini, promuoverne la crescita dando ad essi gli strumenti per diventare uomini, lavorare, fare una famiglia, godere della libertà rispetto alle regole del vivere civile. La scuola, più di ogni altra istituzione, è cosa viva che muta continuamente ed evolve rispetto ai cambiamenti della società della quale fa parte; se pur generata da questa, facendone parte, contribuisce allo stesso cambiamento. La sua posizione nel contesto sociale la espone ad una valutazione costante, a volte spietata, spesso pretestuosa. Ecco allora che un piano di riforma che si propone per di più con lo sciocco nome di “buona scuola” (discutibilmente opponendosi a quella “mala scuola” i cui casi riempiono i media) è debole  perché utopisticamente, o forse sarebbe meglio dire ancora presuntuosamente, si propone come atto definitivo. Dai primi degli anni sessanta, i disegni di riforma del sistema scolastico e dei suoi contenuti si sono succeduti in gran numero. La maggior parte di questi aveva pregi e sempre un difetto, peccare di quella presunzione di cui dicevo. In realtà la vera riforma che merita questo nome, è quella operata dal filosofo Giovanni Gentile tra il 1922 e il ’24,  nata in quel clima culturale di certezze che è proprio di ogni regime e che ne determina i limiti.  Malgrado la forte matrice nazionalista e i contenuti ispirati dal fascismo, la riforma gentile è tutt’ora presente, anche se in parte sempre minore . Ciò che si è fatto in tempi  più recenti è quasi sempre un “riordino”, una messa a punto ambiziosamente progettata per essere risolutiva. Dopo tanti tentativi, credo che la verità stia nel fatto che non si è tenuto conto di quello che dicevamo: la scuola, dal ventennio in avanti ha vissuto nella mutevole cultura del tempo, ma non le è stata riconosciuta la prerogativa d’esserne parte integrante ed attiva. Ogni azione di riforma è destinata ad insuccesso se non reca in sé l’umiltà del redattore di considerare  il proprio lavoro un’opera da rivedere continuamente. Credo che nel tempo si debba accettare il fatto che non esiste una scuola “riformata”, ma “riformante” con continuità e coerenza tra le sue diverse e complesse parti, la struttura, gli obbiettivi, i contenuti, ai quali seguono gli strumenti, i metodi, i ruoli, i luoghi ecc.. Si tratta di qualcosa che assomiglia molto ad un corpo umano che, sottoposto ad una cura o un intervento chirurgico,  continua a vivere ed il buon medico, durante l’operazione di riparazione, deve avere sotto controllo anche le funzioni più periferiche rispetto a quelle che sono interessate dal suo lavoro.  Occorre poi che il medico operi verso la salute permanente diffondendone la cultura, la presìdi vigilando e indicando le buone pratiche, prevenendo, ma anche intervenendo dove e quando ci sia bisogno.
La scuola necessita di maggiore attenzione e cura da parte di tutti, ma non può trovare soluzioni a problemi che risiedono nei compiti e responsabilità di altri (ad esempio quelli della famiglia o di altri “soggetti educanti”); al tempo stesso non può essere sottoposta a critiche pretestuose ed espresse in modo scandalistico. Concludo citando un esempio per tutti: l’introduzione delle tecnologie e l’uso degli smartphone  nella didattica. Troppi si sono stracciati le vesti gridando allo scandalo. La moderazione suggerisce di considerare che questi nuovi strumenti come i social network, appartengono ad una cultura che, ci piaccia o no, sta nella quotidianità di noi tutti, raramente per gioco. Non viene il sospetto che la scuola possa favorire un uso sensato di tali strumenti limitandone l’abuso? Perché gridare allo scandalo, se la scuola è parte viva della società? Vi sono cose delle quali la scuola ha costante bisogno:  meno animosità e giudizi avventati da parte dei non addetti, più attenzione e consapevolezza da parte di una società civile e di una politica intelligente e umile, più risorse e autonomia, più valore ai docenti (e anche riconoscimento economico per chi lo merita). E’ infine indispensabile togliere il ruolo di governo della scuola ad una burocrazia che opera non conoscendo ciò che amministra. Questa ultima considerazione si riferisce alla elefantiaca misura di leggi, decreti e norme contraddittorie, inutili e tanto illeggibili nella forma che, se fosse usata da uno studente, gli farebbe meritare una bocciatura.
Nel frattempo la scuola vive. Auguri

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