Imperativo Cgil: ripartire dai diritti
Zilocchi: “Si chiude un anno difficile”

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Il segretario della Cgil Gianluca Zilocchi
Il segretario della Cgil Gianluca Zilocchi

Il bilancio 2016, annus mirabilis aut annus horribilis a seconda dei punti di vista, pende verso la seconda ipotesi per Gianluca Zilocchi, segretario provinciale Cgil, sindacato ancora riconducibile alla sinistra e maggioritario per numero di iscritti.
“Si chiude un anno difficile – commenta Zilocchi nel suo ufficio dirigenziale al secondo piano della Camera del Lavoro, via XXIV Maggio, sobrio nella metratura e nell’arredo, coerenti con la tradizione ultracentenaria della prima organizzazione di lavoratori – Anno difficile in cui si sono avverate tutte le cose negative che abbiamo per tempo contestate al Governo: dall’approvazione del nefasto Jobs Act a seguire. Mi riferisco a provvedimenti inidonei a mantenere le promesse di rilancio dell’economia, di capacità di attrazione nei confronti degli investimenti, di riduzione del precariato nel mondo del lavoro”.
Capitolo referendum, beh, si può dire che abbiate vinto…
“Se vogliamo fare una lettura politica, il dato referendario testimonia con nettezza la scelta dei giovani  per il No.  Ed anche l’opposizione di coloro che hanno redditi bassi e di coloro che vivono al Sud e nelle periferie delle grandi città. Si tratta di una risposta sociale, una risposta forte alle politiche di questo governo. Ad essere bocciate sono state le scelte azzardate del governo Renzi – dal Jobs act alla Buona scuola – inadeguate a sortire i risultati e gli effetti annunciati”
Si parlava di riduzione delle diseguaglianze, di recupero all’onor del mondo e dei diritti di cospicui segmenti di lavoratori. “I provvedimenti del governo – sottolinea Gianluca Zilocchi – non sono serviti a ridurre le diseguaglianze. E oggi il vero problema riguarda proprio le diseguaglianze”.
Forse è perché i soldi non ci sono.
“Non si tratta soltanto di un problema di risorse. Se il governo decide di elargire 20 miliardi di euro alle imprese nell’arco di due anni, ebbene, compie una scelta di campo (di classe, si diceva una volta). Il punto, infatti, consiste nella decisione di come utilizzarle, le risorse”.
Il rischio, dietro l’angolo, è il cosiddetto populismo.
“Non si può dire – risponde Zilocchi – che si tratti di solo populismo. Secondo il Rapporto McKinsey, quindi dati non riconducibili al nostro sindacato e più in generale alla sinistra, nella decade 2005-2014 il 70% della popolazione denuncia redditi in calo rispetto al punto di partenza. Specifico, doverosamente, che il rapporto citato ha preso in esame le 25 economie più ricche del pianeta. Nulla di simile si era verificato nei 60 anni precedenti, cioè dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tra il 1993 e il 2005, per esempio, solo una minuscola frazione della popolazione (2%) aveva subito un arretramento nelle condizioni di vita”.
Ma oggi che succede?
“L’Italia – riprende il numero uno della Cgil – si distingue per il primato negativo. In assoluto è il paese più colpito: il 97% delle famiglie italiane, all’epilogo di questi dieci anni di crisi, si trova ferma al punto di partenza o addirittura dietro la linea di partenza, poiché in mano, in busta paga, si ritrova con un reddito inferiore”.
Il fenomeno, però, è di massa e praticamente non ha eccezioni nel mondo sviluppato. Un fenomeno che contribuisce a spiegare – secondo lo stesso Rapporto McKinsey – il profondo disagio sociale che alimenta populismi di ogni colore, dalla Brexit alla sorpresa Donald Trump.
Diversa, di diverso segno, sembra la narrazione renziana e pidina.
“Anche i dati Istat – denuncia il segretario provinciale della Cgil – segnalano in Italia  17 milioni e mezzo di persone fortemente esposte al rischio di esclusione sociale; si tratta del 29% della popolazione. Il reddito delle famiglie più ricche, inoltre, è lievitato, in media, a sei volte rispetto a quello delle famiglie più povere. Insomma, c’è un problema di diseguaglianza straordinario e questo governo ha fallito, poiché non l’ha risolto (e nemmeno còlto)”.
Anche in seguito alla caduta del governo Renzi, quali saranno le azioni del sindacato?
“Il prossimo sarà un anno fondamentale: abbiamo raccolto firme per la proposta di legge di iniziativa popolare ‘Carta dei diritti universali del lavoro’, che in pratica riscrive un nuovo statuto dei lavoratori, che con forza chiediamo venga discusso dal governo. Abbiamo anche raccolto le firme per tre ulteriori referendum (cancellazione voucher, nuovo reintegro in caso di licenziamento illegittimo e piena responsabilità solidale negli appalti, ndr) su cui la Cgil investe molto. Quella dei voucher è una formula che ha fallito, va abolita. Per ora, però, non mi sembra di saper cogliere l’intenzione del governo di cambiare rotta”.
Capitolo pensioni. Il nervo è scoperto.
“Sì, un altro tema caldo è quello delle pensioni: abbiamo in corso una trattativa con il governo attraverso la quale abbiamo ottenuto alcuni risultati. Chiediamo la pensione di solidarietà: va garantita una soglia minima sotto la quale non scendere”.
Nuovo polo logistico a Piacenza. La Cgil è favorevole?
“Per assumere una posizione responsabile sarebbe necessario avere qualche informazione in più e tutelarsi con vincoli precisi. Se l’operatore che ha fatto richiesta di insediamento è in continuità con quelli già presenti (con poche eccezioni) che alimentano e trascinano carovane di cooperative, il non rispetto dei contratti, un lavoro di bassa qualità, allora non va bene. Se invece si segue un modello di sviluppo compatibile con il progresso sociale, e nessun nuovo consumo di suolo, allora ci si può ragionare”.
Esempi?  “Vi sono multinazionali che utilizzano solo personale interno, ad esempio, e nessuna cooperativa. Ma in ogni caso, senza demonizzare le cooperative, dobbiamo salvaguardare la qualità del lavoro. Il nuovo operatore deve firmare impegni. Come Cgil abbiamo siglato un protocollo sugli appalti con il Comune, abbiamo firmato accordi con aziende come Ikea. Si tratta di condizioni che pretendiamo restino e siano rispettate. Nel Psc di Piacenza, inoltre, sono previse Aree produttive ecologicamente attrezzate, il che significa che chi si insedia deve creare servizi, infrastrutture, spazio vivibile per i lavoratori. A queste condizioni, ebbene, si può discutere”.

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