D’Amo: ‘No derive personalistiche,
La politica è mediazione’

0

Gianni D’Amo è rimasto tra i pochi a coltivare e a osservare la politica con l’occhio dello studioso (particolarmente fine, tra l’altro) e con la passione del militante (politico, non partitico). Nel bel video di Zerocinque23 curato da Elena Caminati, il professore di filosofia e storia – fondatore con Piergiorgio Bellocchio dell’associazione politico-culturale Cittàcomune – in s oli sette minuti analizza una crisi della politica che – anche alla luce del disastroso risultato delle regionali, disastroso dal punto di vista dell’affluenza – sembra evidenziare la degenerazione della democrazia rappresentativa. Una degenerazione che D’Amo denuncia da anni, criticando radicalmente il progressivo svuotamento democratico dei partiti, la loro riduzione a comitati elettorali, la loro deriva personalistica. La profonda critica damiana, tesa a smontare i luoghi comuni dell’ultimo ventennio, parte da vicino, dalla constatazione del finto progresso della riforma Bassanini sull’elezione diretta dei sindaci, presentata come strumento di democrazia diretta e accolta come soluzione alle lungaggini che impediscono decisioni rapide e interventi sicuri. Mentre, proprio da quella legge, origina la disastrosa tendenza alla personalizzazione, al primato indiscusso del sindaco e alla conseguente riduzione al ruolo di comprimari di assessori e consiglieri, i primi perfino revocabili a insindacabile decisione dell’eletto dal popolo. Una deriva a cerchi concentrici, con la manifesta contrazione degli spazi di democrazia in seno ai partiti, dal dopoguerra veri luoghi di mediazione politica e dibattito, corpi intermedi della società in cui le idee avevano la possibilità di essere discusse anche dalla base, e poi prendere forma e concretezza.  Luoghi di esercizio della democrazia oggi sviliti a centri di ratificazione di decisioni già prese. Gianni D’Amo analizza l’approdo populistico avvertendone il pericolo: il destinatario dell’apoteosi, quando le cose cominceranno ad andare male, si trasformerà in capro espiatorio. “Ce lo insegna da oltre due millenni la tragedia greca”, chiosa il professore, additando in modo indiretto un’altra vittima della sedicente modernizzazione: la cultura.
“Osserviamo quanto è accaduto nei comuni dopo l’entrata in vigore della legge sulla elezione diretta dei sindaci – spiega D’Amo. “Ebbene – prosegue – il modello del sindaco con poteri inediti, che comanda, è profondamente diseducativo. Assessori e  consiglieri di maggioranza sono giocoforza indotti a dire sempre sì, mentre la città, le città, avrebbero bisogno di amministratori provvisti di spirito critico, che ragionino e si assumano responsabilità”. E nella  chiacchierata di fronte alla telecamera Gianni D’Amo – per dieci anni a Palazzo Mercanti in fulgida e solitaria (da sinistra) opposizione – indica con cognizione di causa ciò che davvero non va: “Il Consiglio comunale è fragile. Nel presente mandato amministrativo dalla sera alla mattina sono stati mandati a casa quattro assessori su nove, tra i quali il vicesindaco Cacciatore. Questi alle elezioni aveva raccolto oltre 1250 preferenze, un’enormità per Piacenza, eppure sia per lui che per gli altri ‘licenziati’ non è successo niente, nel  senso che a livello politico nulla si è mosso e tutti evidentemente trovano normali cose di questo tipo. Bene, io un fatto del genere lo  trovo devastante poiché non spiegato ai cittadini e quindi arbitrario. Viceversa il Consiglio comunale e i giornali l’hanno accolto come routine politica, non accordandogli il giusto peso”.
D’Amo, infine, inquadra il modello di governo piacentino in un precipitato del monopartitismo Pd (ovvero il monocorrentismo Renzi-Reggi) con gli annessi e connessi di precipitosi allineamenti destinati a durare un anno, o poco più: fedeltà personali, smarrimento di senso e direzione politica. “Da laico, penso che non ci siano distruttori né salvatori del  mondo, semplicemente mi auguro l’impegno di persone per bene, in grado di fare la propria parte. Il mio scetticismo odierno non è disaffezione alla politica, più semplicemente è dispiacere per una deriva evidente. La scelta del non voto è preoccupante ma agli elettori non ci si può rivolgere solo in campagna elettorale, per chiederne il voto. La politica è dialogo, mediazione. Si media anche in famiglia, tra genitori e figli: perché non dovrebbe farlo chi governa una città di centomila abitanti?”

LASCIA UN COMMENTO

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.