Campagna elettorale e dintorni
La politica non può essere improvvisazione

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di Bernardo Carli – Lo stavamo dicendo la scorsa settimana quando parlavamo di una campagna elettorale rapida e dura, ma la realtà è assai peggiore di quella che prevedevamo. Gli attacchi tra le parti in gioco sono tanto bassi da rendere la cronaca politica insopportabile. La competizione é spesso sleale, si esprime attraverso la calunnia, l’ingiuria, la menzogna, riassunta in poche e rozze espressioni; la rete consente al veleno d’essere sparso a piene mani perché offre a ciascuno la possibilità di intervenire, sproloquiare, agitare le acque con relativo fango a profusione che, come si sa, è materia vile, putrida e maleodorante, quieta e inerte nel fondo di ogni specchio d’acqua fino a quando il liquido che la custodisce non viene agitato in modo scomposto.
E’ questa la democrazia che garantisce i diritti sanciti da una Costituzione nata quando esisteva solo la stampa, accessibile a pochi alfabetizzati e i comunicati radio? Prima dell’avvento della televisione c’erano i comizi nei quali gli oratori esercitavano l’antica arte dell’eloquenza, rudimentale e passionale esercizio della comunicazione. Poco ma sicuro che i padri costituenti non avrebbero mai immaginato questo nostro presente. Chissà se avrebbero apprezzato la possibilità di dar voce a ciascun cittadino; forse sarebbero stati favorevoli a tanta libertà, ma quale il loro pensiero di fronte alla sempre maggiore astensione? Avrebbero accettato l’assurdo assioma “più informazione uguale meno partecipazione”? E cosa avrebbero pensato di questa campagna nella quale poco importa ciò che si dice, purché questo venga gridato in modo volgare e acritico? E se l’astensione non bastasse, se riuscissimo ad accettare un elettorato attivo poco numeroso ma evoluto, quale è effettivamente la crescita della democrazia di fronte ai partiti nei quali il dibattito interno è quasi inesistente, ma si fa “lavoro di squadra”, servendo ciecamente un leader più o meno democraticamente eletto. Questo vale per alcuni partiti ed uno in particolare, dove si inneggia alla democrazia interna per legittimare le scelte di un “cerchio magico”, dove le decisioni vengono prese unilateralmente da un organismo di tipo aziendale. Che dire poi della volgarità intellettuale di chi vuole amministrare il paese considerando l’incompetenza la migliore garanzia di onestà. Nessuno di noi si affiderebbe ad un medico o a un avvocato onesti, ma che si dichiarano incompetenti anche se ben disposti all’apprendistato. Poi ci sono quelli la cui visione politica e economica non va oltre le chiacchiere del bar sport (con tutto il rispetto per le parole in libertà di chi, stanco dal lavoro, si concede un bianchino o uno spritz). La facilità con la quale si sparano sentenze sui temi come l’immigrazione, l’economia, il lavoro, rivela l’assoluta ignoranza nella geopolitica, nella storia, nell’antropologia, nell’economia.
Ci sono poi i fautori di un revival storico: potrebbero essere patetici, come i monarchici, se quel passato non fosse carico di dolore, di diritti calpestati, di assassini e infine di un genocidio senza pari del quale è difficile cancellare la vergogna italiana. Questi ultimi sono pericolosi; camuffati da difensori dei valori di una cultura della quale colgono acriticamente solo gli aspetti più elementari: riempiono le città di violenza e fanno proseliti tra i soggetti più deboli.
Mi viene in mente quanto disse con grande stile Giovanni Malagodi, leader del Partito Liberale a Giorgio Almirante, ex repubblichino segretario del partito di estrema destra: “lei è un ignorante, nel senso del verbo ignorare”. Ebbene solo chi è ignorante può essere oggi fascista e non è un caso che nelle file dei gruppi di estrema destra militino persone con il più basso livello di scolarizzazione.
Che dire poi delle promesse da barzelletta di qualcuno (poter vivere fino a 120 anni). Aspirano a governare personaggi impresentabili: frodatori dello stato, difensori della famiglia e della moralità che hanno violato, nemici della povertà responsabili vdella più grande ingiustizia sociale, quella che consente ad alla piccolissima elite di possedere il maggiore patrimonio.
La verità è che la politica non può essere improvvisazione. Vorremmo uscire dal seggio sereni e certi di aver scelto la migliore soluzione o almeno la meno peggio, ma questo comporta una ricerca laboriosa. Le opinioni si qualificano come “personali” e se così è, occorre farsele; la rete, della quale abbiamo parlato molto male, offre la possibilità di meditare sui programmi degli schieramenti; attenti però alle falsità spacciate per verità, a tutto quello che sembra facile, alle soluzioni elementari e soprattutto attenti a non “leggere solo nel proprio libro”.
E se è vero che si può cambiare passo, vale il principio che l’analisi di un problema, quella metodologicamente corretta, non possa mutare a seconda dei rimedi che si intende mettere in atto.

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