Bobbio, là dove c’era l’erba

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Là dove c’era l’erba ora c’è un ossario di impalcature, una sfilata geometrica di villette in potenza, tutte uguali, a punta, aguzze nello scheletro spiovente dei tetti. Il prato in questione, dove appunto c’era l’erba, era un bel pratone che riposava gli occhi del passeggero una volta superato Bobbio, val Trebbia, in direzione Marsaglia, Ottone e volendo perfino Genova. Viceversa, scendendo lungo la statale verso Piacenza, quella fresca distesa verde annunciava la città del santo Colombano nel migliore dei modi. Come tutte le cose belle, a disposizione di tutti e a costo zero come il paesaggio, che è regalato, non poteva durare. La speculazione rovinosa (anche se – precisiamo –  legittima, purtroppo legittima) non s’è fatta attendere, testimoniando ancora una volta l’inadeguatezza di un ceto politico locale che per non saper né leggere né scrivere avalla quasi sempre la scelta di uno sviluppo senza progresso. La lottizzazione guarda amorevolmente il futuro stabilimento termale, al di là della strada, sulla riva destra del Trebbia. Allo stesso modo il futuro stabilimento termale guarderà di fronte a sé l’infilata di monofamiliari, oltre la strada, sulla riva sinistra del Trebbia. Ecco, il Trebbia: spesso proprio coloro che ne magnificano la bellezza lavorano con tenacia per appassirla, questa bellezza, per mortificarla. In nome dello sviluppo, certo, sicuramente in buona fede, animati da buoni sentimenti verso il loro (e nostro) territorio. Ma sappiamo anche che l’amore non basta e si presta a lusinghe ingannevoli. Una volta un signore che sa raccontare le barzellette si presentò in tivu ed esordì dicendo “l’Italia è il paese che amo”. Sappiamo come è finita, sperando davvero che sia finita.

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