Agroalimentare piacentino, l’eterna serie B
Maloberti: “Occorre fare squadra”

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Giampaolo Maloberti
Giampaolo Maloberti

Ha fatto discutere la mancata partecipazione delle eccellenze gastronomiche piacentine alla vetrina newyorkese organizzata dall’Emilia Romagna con i prodotti della Food Valley regionale. Molti hanno accusato l’ente regionale di ignorare i prodotti piacentini. Ma l’assenza dei nostri tre salumi Dop – si è giustificata l’assessore regionale all’Agricoltura Simona Caselli – è stata causata da barriere di tipo sanitario. I salumi piacentini, purtroppo, non sono presenti in questo momento negli Stati Uniti”.
“E’ vero che i salumi piacentini sono bloccati dalle leggi sanitarie Usa – conferma Giampaolo Maloberti, presidente del Consorzio La Carne che Piace – Una penalizzazione che ci esclude da un mercato che apprezza sempre più il Made in Italy. L’export verso gli Stati Uniti dei prodotti emiliano romagnoli è già decollato e dopo il +28,5% messo a segno nel 2015 anche nel 2016 ha registrato +8,9% nei primi sei mesi del 2016. Il problema, però, in questo caso non sta tanto nel mancato invito da parte della Regione Emilia Romagna – la quale però è solita dimenticare Piacenza, dai trasporti all’agroalimentare – a portare a New York le aziende piacentine, quanto nella solita carenza cronica di una strategia di marketing territoriale ed extraterritoriale. Un marketing che dovrebbe vedere in prima linea le istituzioni e le aziende. Purtroppo, entrambi sono latitanti”. Secondo Maloberti siamo penalizzati anche dall’Europa: “Secondo il disciplinare per la coppa Dop, ad esempio,  la stagionatura, eseguita sempre in loco, deve compiersi in località che non superino i 900 metri di altitudine. Significa che a Groppallo abbiamo un salumificio che non può fregiarsi del marchio Dop nonostante operi in un contesto molto più salubre che in pianura”.  E poi ci si mettono i piacentini… “Se si pensa a ciò che Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia realizzano per promuovere le loro eccellenze – prosegue Maloberti – Piacenza resta ferma agli eventi da sagra paesana. Non c’è un brand che ci possa far riconoscere, tante aziende sono divise e si combattono, comunicazione e promozione si fermano quando c’è da chiedere una piccola cifra ai soci (si pensa sempre che debba intervenire il pubblico con qualche bando o elemosina) non c’è impegno a far conoscere i nostri progetti al di fuori delle mura né si organizzano eventi per attrarre i famosi turisti (altro settore fallimentare). Chi sfrutta i bandi della Regione per la comunicazione e la promozione? Per tutti, basti guardare a 30 chilometri dal Gotico, alla Festa del torrone a Cremona, che da un fine settimana di eventi è passata a due e ha numeri che fanno girare la testa ai piacentini: 300mila visitatori”.
Anche Parma riesce a vendersi meglio… “A Parma sono sicuramente più bravi a promuoversi nonostante la loro coppa non regga il confronto con la nostra mentre il nostro Grana Padano non ha niente da invidiare al Parmigiano Reggiano. E poi le istituzioni non ci supportano. Il passaggio della Provincia, inoltre, da ente di primo a ente di secondo grado è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: prima l’assessorato provinciale all’Agricoltura lavorava alla promozione del nostro agroalimentare e la campagna negli autogrill ne è stata un esempio”.
Nessun segnale positivo? “Qualcuno che si salva c’è – risponde il presidente del Conzorzio La Carne che Piace – ma si tratta di aziende che con il nostro territorio hanno poco a che fare, operando soprattutto sui mercati esteri, acquisendo nuovi clienti ed espandendosi. Un buon esempio è il Consorzio Piacenza Alimentare e, appunto, si dedica solo all’estero. Che senso avrebbe qui pubblicizzare la coppa dop o il Gutturnio? Chi spenderebbe soldi per acquisire quello 0,1% di clienti che ancora non conosce le nostre eccellenze? Salumi e vino, i due campioni che potrebbero fare da traino a tutto l’agroalimentare piacentino, sono al palo. Fuori Piacenza sono conosciuti pochissimo. Oltre al pomodoro – ma quello in sordina corre già abbastanza soprattutto all’estero – andrebbero valorizzate la pasta, le farine (ce ne sono di eccellenti), i formaggi”.
La carne piacentina è conosciuta? “Esportare carne è quasi impossibile: il nostro consorzio lavora con regole molto restrittive e la campagna sulla carne cancerogena non ci ha certo aiutato. Ma la gente dovrebbe sapere che la costata piacentina non ha niente da invidiare alla fiorentina. Putroppo ci stiamo muovendo in solitudine e nell’autofinanziamento. La soluzione? Aziende e consorzi dovrebbere fare squadra tra di loro e le istituzioni dare il loro appoggio”.

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